“Sulla tranquillità dello spirito” è il nono libro dei dialogi di Seneca, riflesso psicologico e pensiero filosofico del grande autore latino. Quest’opera vuol’essere un manuale contenutisticamente permeato di consigli ed esempi che garantiscano un sereno vivere e tranquillità d’animo assoluta per coloro disposti ad aderirvi filosoficamente.
Seneca si rivolge all’amico Anneo Sereno come un maestro a un discepolo per discutere della tranquillitas e di come raggiungerla; questo chiede aiuto perché trovatosi in una condizione di insicurezza e instabilità spirituali, infatti afferma di essere spinto a seguire diversi pensieri contrastanti e contraddittori tra loro.
Sereno è l’esposizione diretta dei dubbi e dei travagli dell’animo, il quale descrive i sintomi e le manifestazioni che lo rendono inquieto, insoddisfatto e che quindi gli provocano il “male di vivere”. Seneca allora, passa in rassegna quei temperamenti che ostacolano la capacità di raggiungere la pace interiore. L’atteggiamento del Filosofo non è superiore poiché egli risulta essere un confidente, dando dei consigli che egli conosce ad esperienza personale sifatta di questi dubbi e turbamenti che adesso affliggono il confidato.
L’Autore pensa che tutti si trovino nella stessa situazione, sia quelli che cercano continui cambiamenti sia coloro che si annoiano. Ci sono quelli che continuano ad apportare modifiche alla propria esistenza finendo per fermarsi in un’ottica restia alle innovazioni. Altri sono restii perché non hanno mai evoluto il proprio pensiero, vivendo per inerzia, cioè continuando a fare quello che fanno non per volontà ma perché trascinati dagli eventi. Di mali ce ne sono tanti ma l’effetto è sempre uno e uno solo: l’essere scontenti di sé. È un mancato appagamento di desideri e aspirazioni; questi tentano di realizzarli con ogni mezzo (anche sbagliato), quando la fatica è sanza premio tutto risulta inutile e ciò li tortura. Non si curano di aver seguito strade pessime o contorte ma si addolorano di averci provato senza essere arrivati a un risultato.
Perciò sono invasi dal pentimento della strada che hanno percorso e provano timore nel ricominciare, la loro vita si realizza poco e l’animo soffre per i desideri delusi e incontrollati. Questi individui risultano disgustati dagli insuccessi ottenuti con tanta fatica, cercano rifugio nella vita ritirata la quale è insopportabile per un animo bramoso di agire che quindi, oscilla. Sono privati dei piaceri che pensano siano oggetto di ricerca, inconsapevoli che è nella ricerca stessa della verità il giaccere del piacere, continuano a oscillare e involontariamente finiscono per essere abbandonati a sé stessi.
Questa instabilità li rende perennemente infelici, desiderano cose sbagliate(come il desiderare stesso che risulta fine a sé stesso) e si tormentano per le frustrazioni e i fallimenti. L’incapacità di controllare i desideri li espone a delusioni continue nella vita pubblica, cercano il rifugio in un’esistenza solitaria, tormentandosi per l’animo così bramoso di agire, ecco come si privano dei piaceri. Per questi sembra opportuno trovare distrazioni nei divertimenti ma si è costretti a constatare che queste distrazioni non possono rimediare all’incapacità di guardare dentro il proprio animo.
Seneca chiude esemplificando: il malato cerca il sollievo momentaneo al dolore delle proprie ferite sfregandole e tormentandole con l’esito di aggravare la propria sofferenza.
Fonte Immagine: Wikipedia
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