Recensione Libro: Le Ho Mai Raccontato Del Vento Del Nord

in Olio di Balena4 years ago

‘Le ho mai raccontato del vento del nord’ è un libro attuale oggi, più di quanto potesse esserlo nell’ anno della sua prima pubblicazione (2006) e che può contare nel cinema diversi precedenti anche di successo: Scrivimi fermo posta (1940), Falling in love (You’ve got mail (1998), The lake house (2006) Perfetti sconosciuti (2016), per citarne alcuni - rigorosamente in ordine cronologico - accomunati da plot che si dipanano sul filo rosso del feeling inaspettato tra i protagonist, che supera e non presuppone la reciproca conoscenza tra gli stessi. Amori a prima vista o a prima battuta consumati sul sottile confine tra come si è e come si appare.


‘Le ho mai raccontato del vento del nord’ è un dialogo lungo mesi tra due adulti che iniziano a scriversi e a conoscersi (?) esclusivamente via mail, per un errore di invio, per una casualità (d’altronde le cose belle della vita e i migliori incontri avvengono sempre per caso). La formula botta e risposta del romanzo di Daniel Glattauer , fa eco alla scrittura teatrale, un atto unico, un’unica ambientazione, una scenografia essenziale, una luce accesa solo sui protagonisti, senza spazio e senza tempo. Che si tratti di un palco, del set di un film o della pagina di un libro, l’impressione dell’attore/spettatore è quella di star spiando dal buco della serratura le vite degli altri o, nel caso specifico, le e-mail degli atri. Non è difficile capire perché dal testo di Glattauer - un best seller tradotto in 17 paesi - siano state tratte opere teatrali, un radiodramma e un audiolibro.

Quello che affascina del romanzo dell’autore austriaco non è tanto la vicenda raccontata, quanto tutto quello che non accade, quello che accadrà (forse), che potrebbe accadere e che rimane sospeso sul confine tra quello che è e quello che potrebbe essere, tra realtà e desiderio. Perché di desideri si tratta. Desiderio di fuga, desiderio di lasciarsi andare senza freni e bastare così, desiderio di poter essere diversi da se stessi o più se stessi di come ci immaginano gli altri, desiderio di mollare tutto, lasciandosi, al contempo, una porta aperta alle spalle nel caso ci venisse anche il desiderio di tornare.
Che si tratti di lettere, fermo posta, email, Facebook, Twitter, Instagram , di foto, di post, di tag o condivisioni, cambia la tecnologia ma le dinamiche rimangono le stesse e la questione rimane la stessa: quanta verità c’è nella virtualità? Quanto di noi ci mettiamo e nascondiamo in un post? Quanto siamo veri, quanto fingiamo o quanto cerchiamo di essere come vorremmo davvero essere?

Pirandello a suo tempo non aveva a disposizione per la sua analisi sociologica e letteraria un metro di valutazione e di analisi come quello dei social ma aveva già individuato quale fosse la strada tortuosa da cui passava e passa la definizione identitaria di un individuo e del suo carattere, ben più complessa e articolata di una descrizione basata sulla sola osservazione o su di un solo parere. Quello che siamo e come siamo dipendono dal nostro punto di vista, da quello degli altri e dall’incontro di tutte le visioni e soprattutto dalla loro percezione all’esterno, non c’è oggettività possibile se non quella relativa.

Esseri umani dalle forme cubiste che non possono sopravvivere a lungo in un’unica dimensione e che invece possono coesistere contemporaneamente qui altrove, al di là di qualsiasi distanza spazio-temporale.
Ecco che allora le email e i contenuti social, per quanto pubblici e condivisi, diventano spazi privati in cui poter essere la peggiore o migliore versione di se stessi, in cui ci si può innamorare di un’idea o delle parole che la evocano; in cui può capitare quello che si vuole far capitare, uno spazio in cui fare una sosta per riparo dal ciclone, stando nel centro preciso del suo occhio.

Il web oggi è lo spazio delle possibilità dei segreti, del potenziale, del tutto che può succedere ma che mai accade, perché se e quando accade diventa reale. È lo spazio dell’immaginazione senza limiti dove conoscersi e fare amicizia assumono altri significati, fino a scoprirsi ad un certo punto intimi pur restando perfetti sconosciuti.

La spaccatura tra reale e virtuale nella visione dei rapporti umani romanzata di Glattauer non è nuova se si considerano gli esempi cinematografici e letterari precedenti ma è decisamente attuale, oggi che connessioni e condivisioni in rete hanno reso il virtuale visibile e tangibile e che prima era affidato esclusivamente ad un’immaginazione galoppante che costruiva scenari differenti cavalcando la fantasia.
Oggi è sufficiente un post su Fb, un tweet o una foto su Instagram per raccontare a tutti la più spietata verità su se stessi o la menzogna più assurda. In entrambi i casi nessuno sarà mai il risultato esclusivo né di uno né dell’altro, laddove la costruzione identitaria passa dal confine tra gli estremi, dalla capacità umana di poter essere uno, nessuno e centomila. Tra ragione e istinto si moltiplicano le possibilità di combinazioni tra chi siamo e chi vorremmo essere e diventiamo il frutto di un compromesso – non sempre ben riuscito, bisogna ammetterlo – tra realtà e desiderio.

E forse quel che abbiamo desiderato, alla fine, neanche accadrà ma sarà stato bello nel mentre sperare che potesse succedere, che saremmo magari potuti essere qualcun altro o con qualcun altro, oppure altrove, diversi, davvero noi stessi o il nostro esatto contrario. Sarà stato bello aver fatto una pausa dalla realtà, fuggendo nella fantasia. E magari la stessa realtà ‘di ritorno’ ci apparirà migliore.

ENG

'Have I ever told her about the north wind' is a current book today, more than it could have been in the year of its first publication (2006) and which can count on several previous successful films in cinema: Write me stationary mail (1940), Falling in love (You've got mail (1998), The lake house (2006) Perfect strangers (2016), to name a few - strictly in chronological order - united by plots that unfold on the red thread of the unexpected feeling between the protagonists, which overcomes and does not presuppose mutual knowledge between them.Loves at first sight or at first sight consumed on the thin border between how one is and how one appears.


'Have I ever told her about the north wind' is a months-long dialogue between two adults who begin to write and get to know each other (?) Exclusively via email, due to an error in sending, by chance (after all, the good things in life and best encounters always happen by chance). The question and answer formula of Daniel Glattauer's novel echoes the theatrical writing, a single act, a single setting, an essential scenography, a light lit only on the protagonists, without space and time. Whether it's a stage, a movie set or a book page, the actor / spectator's impression is that of spying on the lives of others through the keyhole or, in this specific case, emails. of the atria. It is not difficult to understand why from Glattauer's text - a best seller translated in 17 countries - plays, a radio play and an audio book were drawn.

What fascinates about the Austrian author's novel is not so much the story told, but everything that does not happen, what will happen (perhaps), what could happen and that remains suspended on the border between what is and what could be, between reality and desire. Because we are talking about desires. Desire to escape, desire to let go without restraint and be enough like this, desire to be different from oneself or more oneself than others imagine, desire to give up everything, leaving, at the same time, an open door behind in the case there was also the desire to return.
Whether it's letters, mail, email, Facebook, Twitter, Instagram, photos, posts, tags or shares, the technology changes but the dynamics remain the same and the question remains the same: how much truth is there in virtuality? How much of us do we put in and hide in a post? How real are we, how much do we pretend or how much do we try to be the way we really want to be?

At the time Pirandello did not have available for his sociological and literary analysis a yardstick for evaluation and analysis like that of social media but he had already identified the winding road from which the identity definition of an individual and his character passed and passes. , much more complex and articulated than a description based on observation alone or on a single opinion. What we are and how we are depend on our point of view, on that of others and on the meeting of all visions and above all on their external perception, there is no possible objectivity other than the relative one.

Human beings with cubist forms who cannot survive for long in a single dimension and who instead can coexist at the same time here elsewhere, beyond any space-time distance.
Here then, emails and social content, however public and shared, become private spaces in which you can be the worst or best version of yourself, in which you can fall in love with an idea or the words that evoke it; in which what you want to happen can happen, a space in which to stop for shelter from the cyclone, being in the precise center of his eye.

The web today is the space of the possibilities of secrets, of potential, of everything that can happen but never happens, because if and when it happens it becomes real. It is the space of limitless imagination where getting to know each other and making friends take on other meanings, to the point of discovering that at a certain point they are intimate while remaining perfect strangers.

The split between real and virtual in Glattauer's fictionalized vision of human relationships is not new if we consider the previous cinematographic and literary examples but it is definitely current, today that connections and sharing on the net have made the virtual visible and tangible and that was previously entrusted exclusively to a galloping imagination that built different scenarios riding the imagination.
Today a post on Fb, a tweet or a photo on Instagram is enough to tell everyone the most ruthless truth about themselves or the most absurd lie. In both cases, no one will ever be the exclusive result of either one or the other, where the construction of identity passes from the border between extremes, from the human capacity to be able tono, none and a hundred thousand. Between reason and instinct the possibilities of combinations between who we are and who we would like to be multiply and we become the result of a compromise - not always successful, it must be admitted - between reality and desire.

And maybe what we wanted, in the end, will not even happen but it will have been nice while hoping that it could happen, that we could maybe be someone else or with someone else, or elsewhere, different, really ourselves or our exact opposite. It must have been nice to have taken a break from reality, escaping into fantasy. And maybe the same 'returning' reality will appear better to us.

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