Colpo di fulmine

in Discovery-it4 years ago

Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n° 122 S2-P5-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @jadams2k18

Tema: Amore
Ambientazione: Mercato


CC4: Picture by thingstodoinbarcelona

Colpo di fulmine

Ci si può innamorare a prima vista?

Me lo ero sempre domandato per oltre cinquanta lunghi anni. Fidanzate ne avevo avute, poi un divorzio e qualche breve flirt, ma in nessun caso si era trattato di un colpo di fulmine.

Cucinavo il pesce in un piccolo ristorante della Boqueria di Barcellona, il mercato più turistico della città. La gente veniva a frotte ogni giorno, si immergeva fra i colori, gli odori, i sapori delle meravigliose bancarelle straripanti di ogni genere di cibo, e finiva sempre per comprare qualcosa: a volte un frutto esotico, a volte spezie, oppure un frullato o il nostro celebre jamòn iberico. Qualche volta si fermavano a mangiare il cibo offerto dagli stand qui attorno, mentre altri preferivano accomodarsi al bancone del nostro ristorante, ordinare vino e tapas e assaporare i prelibati piatti che offrivamo.
Quanti innamorati mi sono passati d’avanti! La maggior parte di quelli che si fermava, infatti, era in viaggio di nozze: lo si capiva dalla lucentezza delle loro fedi ancora nuove di zecca e il desiderio di sedersi nel posto più turistico della città: una cosa che fai solo poche volte nella vita. Le coppiette, in effetti erano quelle che si fermavano più spesso, così avevo modo di osservarle in continuazione; a volte avevano lo zaino in spalla e i pantaloncini corti, altre erano così eleganti che sembrava stessero andando a un galà. Giovani o anziani, famelici o schizzinosi: in quei quindici anni di lavoro alla Boqueria avevo visto gente di ogni nazionalità del mondo, avevo sentito ogni genere di lingua, di inflessione, di richiesta.
La cosa che molti di loro amavano fare era sentirsi ricchi per un momento: allora acquistavano ostriche e champagne e le offrivano voluttuosamente al partner porgendogliele direttamente fra le labbra. Prendevano una coppa di champagne e un’ostrica che io stesso avevo appena aperto col mio coltellino e condito con una spruzzata di limone porgendola al cliente. Chiedevano al proprio innamorato di dischiudere le labbra e poi gli porgevano quel cibo prelibato e sapido, attendendo che l’amato lo gustasse e poi lo mandasse giù, e che poi ripetesse infine l’atto con perfetta reciprocità. E’ un gesto che ho visto moltissime volte, talora per scherzo, talora con serietà, oppure per curiosità o addirittura con disgusto: alla fine le coppie si contagiavano fra loro, quindi se iniziava a farlo una, anche le altre prendevano esempio e lo replicavano e il locale guadagnava. Il proprietario, di tanto in tanto, nei giorni più fiacchi, pagava anche qualche coppia di modelli o di attori per sedersi al nostro bancone e ordinare quel cibo afrodisiaco offrendoselo a vicenda con piena voluttà davanti a tutti; era davvero un buon metodo: lo spettacolo funzionava eccome, e finiva per spingere molti dei presenti già seduti a imitare quei finti innamorati, o anche a far sedere i passanti che altrimenti sarebbero andati a mangiare altrove.

Quel giorno era proprio uno di quelli in cui il mio capo aveva chiesto a degli attori di replicare il gesto per invogliare i clienti a comprare i nostri prodotti più pregiati. Lei la conoscevo già, era una bella ragazza dai capelli rossi e la pelle chiara, che emanava sensualità da tutto il corpo e che ci aveva procurato molti clienti con la sua sola presenza. Il ragazzo che l’accompagnava, però, non lo avevo mai visto: alto, asciutto, ben vestito; era senza dubbio la prima volta che veniva e sembrava un po’ impacciato. Si sedettero al bancone proprio di fronte a me, che dall’altro lato del tavolo mi affaccendavo a preparare piatti crudi e cotti per soddisfare le ordinazioni dei presenti.“Cosa prendiamo tesoro?” chiese al ragazzo l’attrice rossa. “Non saprei… cosa consiglia lo chef?” Chiese timido ma spontaneo lui rivolgendosi a me. “Questa bellissima coppia merita il piatto migliore che abbiamo” risposi io come da copione senza alzare la testa dalla padella che sfrigolava in quel momento, “ostriche e champagne” conclusi sollevando lo sguardo per un istante e incrociando gli occhi azzurri del nuovo attore, mentre un alito di vento mi portava il suo odore intenso e agrumato.

In un baleno fu come se un leone avesse improvvisamente morso il mio stomaco attorcigliandomi le viscere e mozzandomi il respiro: quegli occhi azzurri e grandi mi calamitarono al loro interno e mi ritrovai a nuotare nelle acque pure di un lago di montagna che si specchia nel cielo dell’estate; mi ritrovai a volare fra le bianche nuvole di primavera che colorano un cielo timido e stupendo e a correre in un prato sotto la prima fresca pioggerellina d’autunno. In quegli occhi estranei che incontrarono i miei solo per un momento, fu come se l’intera mia vita assumesse finalmente senso e il suo senso fosse giungere a quel preciso incontro con quel giovane uomo, ignaro di tutto lo sconvolgimento che stava producendo dentro il mio corpo.

Durò solo il tempo di un respiro, il mio, del tutto mozzato, ma racchiuse la mia vita intera in modo così naturale che non mi domandai nemmeno come mai provassi adesso tutto questo per un uomo, io che avevo sempre preferito le donne. Non me lo domandai e non me ne stupii fino a quando non mi fermai a pensarci, molte ore dopo il nostro incontro.

Ogni singolo fotogramma di quel pranzo si è impresso nella mia mente e lo rivivo anche oggi come un film che io stesso ho montato: iniziai a muovermi solo con gesti automatici eseguiti in modo identico altri milioni di volte. I suoni attorno a me erano ovattati e lontani e l’altro chef che lavorava accanto a me doveva spesso scuotermi dal mio torpore. Non riuscivo a staccare gli occhi di dosso a quell’uomo e ne accarezzavo i contorni con dolcezza per imprimerli nella mia mente. Sognavo ad occhi aperti mentre la ragazza insieme a lui proseguiva con la recita, afferrava un’ostrica fresca e la versava in gola al suo compagno. Lui la ingoiava tirando appena la testa all’indietro, vedevo il suo pomo d’Adamo che si sollevava un po’ e sospiravo immaginando di sfiorarlo, mentre il suo viso si contraeva leggermente in uno spasimo di gusto. Poi lui rideva, di un riso cristallino e puro come i suoi occhi e che gli nasceva spontaneo dalla gola riempiendo di campane della festa l’aria fritta attorno a lui. Osservavo la sua pelle chiara e i suoi capelli corti e biondi, le sue spalle larghe e le gambe affusolate, che di tanto in tanto stendeva giù dall’alto sgabello per sgranchirsele.
Subito dopo anche lui, allora, offriva un’ostrica alla finta innamorata con la sua mano lunga e proporzionata, e quella la suggeva con voluttà, sfoggiando il suo miglior sguardo da felina rubacuori. Sembravano una coppia davvero perfetta e innamorata, ma nel frattempo, pur sapendo che era tutta una messa in scena, io mi struggevo dalla gelosia e provavo odio verso la ragazza dai capelli rossi che poteva toccare l’uomo che mi aveva appena attorcigliato le budella come si fa con una forchettata di spaghetti.

In realtà è solo dopo un po’ che ho compreso d’essere geloso: ho dato un nome ai sentimenti quando il dolore di non vederlo più d’avanti a me ha preso il sopravvento.
Il trucco degli attori, infatti, aveva funzionato e il nostro bancone si era subito riempito e dietro ancora si era formata la fila di coloro che attendevano il proprio turno per sedersi e ordinare ostriche e champagne. Come da accordi, la coppietta se ne andò subito dopo per far posto a clienti veri e fu per me l’inizio della fine.
Quel giorno sbagliai quasi tutte le comande, invertendo i piatti o dimenticando le ordinazioni; ho pure bruciato un’intera paella, attirandomi le ire del padrone che vedeva alcuni clienti andarsene spazientiti.

Io però non me ne accorgevo, mi sentivo fluttuare e la testa era vuota e leggera come da ubriaco: i pensieri vi rimbombavano all’interno mille volte, producendo l’eco dentro lo spazio infinito che quegli occhi e quella risata avevano scavato. Chi era quel giovane uomo, come si chiamava? Sarebbe tornato? Quando avrei potuto rivederlo? Dove? Si era accorto di me, mi aveva visto? Perché non smettevo di pensarlo, cos’era questo nuovo sentimento? Non sapevo rispondere a nessuna di queste domande, ma di una cosa ero certo: lo avrei cercato e trovato e lo avrei rivisto ancora, forse anche solo per un momento, per specchiarmi un’altra volta in quei laghi azzurri e sentire di nuovo il tintinnare della sua risata che sembrava poter rendere felice l’umanità intera semplicemente esistendo.
Avevo vissuto più di cinquant’anni, ma come un fulmine per il mostro del Dottor Frankenstein, quell’uomo mi aveva riportato alla vita per la prima volta.

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