Il teatro è dunque storia di ideali che si rivelano ma anche di poesia e, quando l'autore ha animo turbato, quando fa sforzo di adeguarsi a determinate precettistiche è allora che nasce l'artifizio. E cosi' anche i più alti ideali potrebbero rivelarsi falsi, sterili. Cosi' si arriva a un punto in cui la parola non s'impegna più ostenta senza persuadere. Ciò avvenne nel 19 secolo. Manzoni era alla ricerca della vera unità nell'animo dello spettatore, Hugo lanciava il grido romantico, vibrava la speranza di un'era nuova. La libertà trionfava nell'arte, prima che nella vita perché è cosi' che lo spirito dà i suoi ideali. E si pretendeva la verità, l'imitazione della natura. Ma il teatro del primo 800 altro non era che il mal de siecle che costituiva il costume. Sogni, il vagheggiare sentimentale salgono dalla platea al palcoscenico per ridiscendere, con suggestione drammatica. Nella seconda metà dell'800 le attenzioni erano rivolte all'etica individuale e sociale. La borghesia voleva conservare la raggiunta tranquillità, salvando le apparenze per non turbare alcun equilibrio e, il teatro decretando la fine della tragedia, diventava borghese. L'evasione della vita di ogni giorno, tipico dei costumi romantici, cede al bisogno di scrutare nell'animo umano. Così il teatro rinuncia al sogno: ricordiamo che già Dumas aveva tentato il compromesso tra sensibilità romantica e urgenza di ricerca psicologica.
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