Diceva qualcuno, a ragion veduta, che le idee dominanti sono sempre le idee della classe dominante. E anche nel caso dell’immigrazione di massa non si sfugge a questo corollario. Abbiamo, per un verso, il padronato cosmopolitico, la destra liberista del danaro e della finanza, che mira a deportare schiavi dall’Africa, con l’obiettivo evidentissimo di sfruttare illimitatamente nei circuiti della reificazione capitalistica i nuovi arrivati dall’Africa, in seconda battuta di usare queste armi di immigrazione di massa per abbassare in generale i costi della forza lavoro, e quindi per condurre quella che Gallino chiamava “la lotta di classe dall’alto”, e in terzo luogo, naturalmente, come già evidenziato da Marx, l’immigrazione di massa serve ai signori apolidi del capitale per generare conflittualità orizzontali tra gli ultimi, di modo che essi, anziché cooperare e lottare verso l’alto, guerreggino fra loro, secondo la classica funzione dell’ideologia dominante: si scambiano gli amici per nemici e i nemici per amici.
Questa è la funzione generale dell’immigrazionismo promosso dal padronato cosmopolitico no-border, il quale mira non certo ad integrare i migranti, come sempre va ripetendo: mira al contrario a disintegrare i non ancora migranti. L’obiettivo dunque non è quello di rendere i migranti come i cittadini, bensì è quello opposto di rendere i cittadini come i migranti: sradicati, senza diritti, con erranza permanente, condannati alla libera circolazione (il grande teorema del capitale cosmopolitico) ossia condannati a non avere un posto fisso, né lavorativamente né antropologicamente, né sul piano esistenziale. Il capitale globalista oggi ci vuole tutti migranti e senza patria, sradicati e senza fissa dimora. Questa è la narrazione dominante che è funzionale al dominio apolide della classe egemonica.
Per un altro verso abbiamo la sinistra fucsia libertaria del costume, che non lotta più contro il capitale ma è divenuta sua fedele alleata. E dunque, anziché condannare i processi di immigrazione di massa, che meglio sarebbe definire “di deportazione di massa”, condanna chiunque ad essi provi a resistere.
La sua narrazione in fondo è quella del globalismo apolide senza frontiere, sicché la sinistra fucsia, libertaria, anti gramsciana e anti marxista, amica del patronato cosmopolitico, sempre di nuovo fornisce i quadri di legittimazione al rapporto di forza simmetrico egemonico, Ecco perché la sinistra libertaria, fucsia, passata dal rosso al fucsia, dalla falce e il martello all’arcobaleno, da Gramsci al bardo cosmopolita Saviano, non contrasta l’immigrazione di massa in difesa dei migranti e in difesa dei lavoratori: al contrario favorisce l’immigrazione di massa come processo di deportazione di massa, nobilitandolo con categorie falsamente umanitaria come “libera circolazione” – la parola d’ordine del capitale – “integrazione” e “accoglienza”, quando in realtà si tratta di deportazione neoschiavista, o – se preferite – di colonialismo 3.0 di un Occidente che non produce più il colonialismo della vecchia figura, anzi delle vecchie figure, anzitutto deportando migranti africani verso il Brasile, dove venivano venduti a basso costo nelle Americhe, per poi ritornare in Europa con i proventi. Non siamo più nella fase del colonialismo e dell’imperialismo studiati da Lenin, quando cioè, in seguito, gli europei andavano in Africa a sfruttare la manodopera. Siamo nella figura 3.0 del Colonialismo: gli europei destabilizzano i paesi africani a suon di bombardamenti etici, interventismi umanitari ed embarghi terapeutici (penso alla Libia del 2011) e così facendo cagionano la fuga di esseri umani via mare, che vengono di fatto accolti, tra virgolette, in realtà inseriti nei circuiti del supersfruttamento capitalistico: muoiono grazie al caporalato, finiscono ad essere supersfruttati da fame e in questo modo abbassano anche i salari della popolazione locale, secondo la figura già studiata da Marx.
In questo scenario, appunto, le sinistre cosmopolite, fucsia, la New Left di completamento del rapporto dominante, sempre – di nuovo, elabora i quadri ideologici di riferimento e di giustificazione del rapporto di forza dominante. Sicché oggi abbiamo il bardo cosmopolita dal sontuoso attico di Nuova York, che glorifica con la maglietta rossa addosso i processi di immigrazione di massa; abbiamo il falsamente filantropo – in realtà finanziere speculatore Soros – che finanzia in maniera solerte le associazioni non governative per salvare i migranti, in realtà mosso unicamente dal motto del capitale “business is business”; e abbiamo infine la “capitana” Carola Rackete, tedesca che, annoiata, figlia di papà e in qualche modo presa dal “taedium vitae” maschera la propria indifferenza verso il prossimo con un amore verso l’altro – l’altro è permanentemente assente come sappiamo. Possiamo chiamare queste tre figure con un’espressione mutuata da un noto romanzo, “mutata” oltre che “mutuata”, perché potremmo chiamare questa vicenda “capitali coraggiosi”, perché il coraggio e la filantropia di questi individui sono essenzialmente quelli del capitale. Il capitale che cerca di muoversi ovunque in ragione della sua stessa logica.
La capitana Carola – come dicevo – che viene puntualmente esaltata dalle sinistre, dalla New Left fucsia, che non batte ciglio per i licenziamenti degli operai, per il massacro di classe contro i disoccupati e contro i precari, e che si reca ora sulla Sea Watch carica di migranti per fare la propria passerella elettorale e rivelare che ormai non ha più alcun interesse per le classi lavoratrici e che ha assunto una nuova soggettività pienamente conforme con il capitalismo globalista: il migrante apolide sradicato e senza diritti, che viene esaltato finché è un deportato, ma quando poi diventa un soggetto rivoluzionario come accadde a Gioia Tauro e a Rosarno qualche anno fa, viene puntualmente massacrato a sua volta e perde ogni attenzione da parte delle sinistre, che sono le più solide alleate del capitale globalista e cosmopolita.
Ecco, da questo punto di vista assistiamo a una pratica continua di deportazione, nobilitata in realtà con le insegne dell’accoglienza e dell’integrazione. È questo il punto sul quale bisognerà un giorno riflettere: quella in atto è una grandiosa opera di terzomondizzazione dell’Europa, di sfruttamento neoschiavile di esseri umani dall’Africa, che puntualmente – non per caso – vengono chiamati “risorse”, non persone. La risorsa, secondo la neolingua dei mercati, non ha valore in sé, ma ne ha solo in riferimento a chi se ne avvale, e rivela quindi il compimento della mercificazione capitalistica.
Occorre quindi prendere coscienza che ciò dinanzi a cui ci troviamo è un grandioso processo gestito dai signori del capitale a proprio vantaggio esclusivo, con costi immensi di sofferenza per le classi lavoratrici e per i migranti stessi, che figurano come i soggetti falsamente accolti, in realtà deportati verso i circuiti del supersfruttamento capitalistico.
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