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A volte tuona, ma non piove
A volte piove, ma non tuona.
Ho sempre avuto una profonda curiosità della religione. Da non credente, o meglio da agnostico in quanto sospendo il mio giudizio nella profonda convinzione che non posso sapere se esiste il divino in quanto divino e quindi concettualmente superiore alla mia capacità intuitiva, sono però affascinato da tutti quei personaggi che fanno della fede un motivo di vita.
Tra i tanti, questo signore nella foto ha colpito più di tutti la mia curiosità.
BREVE BIOGRAFIA
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Ajahn Chah nasce nel 1918 in una famiglia agiata della Thailandia nord-orientale. A nove anni decide di lasciare la casa paterna per recarsi nel monastero del luogo diventando a venti anni monaco a tutti gli effetti.
Poco tempo dopo intraprende la vita del bhikkhu errante in cerca di maestri che lo guidassero nel suo percorso meditativo. Dormì in foreste, caverne ed in ripari improvvisati fino a creare una piccola comunità di monaci che vivevano in capanne nella foresta, molti anni dopo.
Morì paralizzato in seguito ad una lunga malattia, ma anche da paralizzato raccontano che riuscisse ad insegnare le vie della meditazione ai suoi discepoli.
QUALCHE CENNO DI BUDDISMO
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Prima di parlare ancora di questo maestro buddista, ritengo opportuno dare delle informazioni che permettano a tutti di comprendere il fulcro di tale scuola di pensiero, ritenendola io stesso tale, e non una religione vera e propria.
Questa considerazione personale deriva dal fatto che nel buddismo non si venera un dio specifico, ma si scava dentro di se alla ricerca della comprensione dell'io e poi del tutto.
Per fare ciò è necessario imparare i fondamentali del buddismo, le cosiddette quattro nobili verità.
Le quattro nobili verità
Tali nobili verità vennero proclamate dal principe Siddharta, il Buddha, durante il sesto secolo avanti Cristo nel Parco dei Daini a Sarnath presso Varanasi, in India. Si tratta quindi di un insegnamento che precede quello del Messia, e di molte altre religioni. Caratteristica di queste quattro nobili verità, è che vengono formulate con una diagnosi medica, tipica della tradizione ayurvedica. Abbiamo così i sintomi della malattia, la causa, la prognosi e la cura.
La Prima Nobile Verità è quindi considerata dal principe Siddharta come "sintomo" di una sofferenza chiamata DUKKHA, che non significa semplicemente "dolore" quanto piuttosto situazione di insoddisfazione ed incompletezza, oltre che di sofferenza. La stessa parola deriva dal termine DUH, che è un prefisso negativo, e da KHA, che significa vuoto.
Il concetto è complicato da spiegare in poche parole, ma si può riassumere dicendo che il Buddismo non è fondato sulla sofferenza, ma non si nasconde fingendo che non ci sia. Il buddismo prende atto dell'esistenza della sofferenza, e ne cerca la comprensione oggettiva ed impersonale. Non cercano di evitarla o di compensarla, ma la vogliono capire, ed in tal verso, una volta compresa, farla cessare.
A differenza infatti del cristianesimo, che promette ricompense, il buddismo non prevede ricompense. Afferma l'esistenza del dolore, ma anche la possibilità di farlo cessare in qualche modo. Il dolore non è metodo o mezzo per espiare i peccati. Il dolore c'è, esiste. E non è una via per ascendere a qualcosa di superiore.
La seconda verità è che la causa di Dukkha è la brama centrata sull'io.
Brama intesa come attaccamento al desiderio, e non il desiderio in sé stesso. Il motivo per cui l'attaccamento ai desideri è considerato causa di Dukkha risiede nel fatto che tale brama è una comoda illusione per sconfiggere Dukkha. La parola con cui si traduce la causa di Dukkha è Tanha, che indica una valenza egoistica, la bramosia per qualcosa, l'avidità con accezione molto ampia. Ma non si tratta di avidità su tutti i piani esistenziali, bensì si tratta di quel tipo di attaccamento che provoca l'illusione di benessere, di immortalità e legame maggiore alla vita.
La Terza Nobile Verità indica la via per la cessazione del Dukkha. Si fa cessare Dukkha se si rinuncia a Tahna.
Tale difficoltà però, a differenza di quanto si possa credere, non si traduce in sforzi mentali, impegni, esercitazioni, ma in un semplice lasciar andare le cose.
Il messaggio Buddista è estremamente semplice. L'uomo deve liberarsi dalle logiche esterne, alla continua ricerca di nuove sazietà, incapaci di riempire il vuoto interno. Deve quindi riscoprire la legge causa-effetto: si nasce, si muore. Tutto muta, nulla è permanente. Una volta consapevoli di questo, dice il Buddha, il cuore sarà libero di essere.
La Quarta Nobile Verità è costituita da il Nobile Ottuplice Sentiero. Tale definizione indica un insieme di comportamenti, che possono portare alla cessazione del Dukkha. Sono più specificamente un programma di purificazione del pensiero, della parola e delle azioni che pone fine al desiderio avido e porta all'Illuminazione.
AJAHN CHAH
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Non cercare di diventare qualcosa. Non proiettarti in qualcosa. Non essere un meditatore. Non diventare illuminato. Quando siedi, siedi. Quando cammini, cammini. Non ti aggrappare a nulla. Non resistere a nulla.
Tornando al maestro Buddista, quello che mi colpì del suo percorso è stata la capacità di sapersi rapportare con il mondo laico. La semplicità di espressione del messaggio, la capacità di comprensione del diverso.
Raccontano coloro che sono stati a contatto con lui, che era capace di far ridere come pochi, così come integerrimo all'inverosimile, ma anche burbero con chi lo meritava.
Molti lo ritenevano, per il suo modo di essere, l'uomo più felice del mondo, e tutto ciò era piuttosto ironico considerato che il maestro non aveva mai provato i piaceri del sesso, del denaro, della musica, e dormiva per terra ogni giorno.
Quando c’è la felicità, osservate quella felicità; quando c’è la sofferenza, osservate quella sofferenza. E così stabilizzati nella consapevolezza, provate a lasciarle andare entrambe, a metterle da parte. Ora che le avete osservate e quindi le conoscete, continuate a lasciarle andare. Non è importante che meditiate seduti o camminando, se continuate a pensare non fa niente. La cosa importante è essere sempre e continuamente consapevoli della propria mente. Se vi trovate invischiati in troppe proliferazioni mentali, raccoglietele tutte insieme, e contemplatele come se fossero un tutt’uno. Ne taglierete l’energia alla radice dicendo: “Tutti questi pensieri, queste idee e immaginazioni sono semplicemente delle proliferazioni mentali e basta. Tutto ciò è aniccam, dukkham e anatta. In nessuno di loro risiede la certezza”. E poi lasciatele subito perdere.
Ajahn Chah era consapevole di non avere sempre davanti dei monaci. E questo messaggio riportato qualche riga sotto ne riassume la capacità argomentativa.
Alcuni pensano che questo improvviso emergere di pensieri sia sbagliato o sia male. Magari sentite l’impulso di uccidere qualcuno. Ma dopo un istante ne siete consapevoli, capite che uccidere è sbagliato, vi fermate e vi contenete. C’è qualcosa di male in questo? Cosa pensate? Oppure vi viene l’idea di rubare qualcosa, subito seguita dal forte richiamo che è sbagliato, e dunque vi trattenete dall’agire, è kamma negativo? Non è che ogni volta che avete un impulso istantaneamente accumulate kamma negativo. Altrimenti, come potrebbe esserci una via alla liberazione? Gli impulsi non sono altro che impulsi. I pensieri sono solo pensieri. All’inizio, non avete creato ancora niente. Solo dopo, se agite col corpo, la parola, o la mente, allora create qualcosa. Avijja (l’ignoranza) ha preso il controllo. Se avete l’impulso di rubare e poi siete consapevoli di voi stessi e del fatto che sarebbe sbagliato, questa è saggezza, ed è presente invece vijja (la conoscenza). L’impulso mentale non viene agito.
Questa modalità di pensiero, ma soprattutto questa semplicità argomentativa e di comprensione per se stesso e per gli ascoltatori o seguaci stessi, mi ha invogliato a interessarmi alla sua figura e al mondo Buddista. Come laico, non come praticante.
Alcuni mi dicono, in famiglia, che per poter comprendere meglio certe cose dovrei provarle, testarle.
E' piuttosto vera come affermazione, ma ho avuto la fortuna di nascere nel dopoguerra, quando la vita insegnava che le guerre, la povertà e la malattia, non erano un retaggio di tempi lontani, ma una situazione in cui vivere ogni giorno. Con la consapevolezza che la sofferenza c'è e bisogna accettarla.
Grazie per aver letto fino a qui.
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