Vi siete mai chiesti come funziona il caffè?

in #ita7 years ago

Vi presentiamo la traduzione in italiano del post di @aboutcoolscience intitolato Have you ever asked yourself how coffee works?

Traduzione a cura di @imcesca revisionata dal @davinci.polyglot team.


Vi siete mai chiesti come funziona il caffè?

Ogni giorno usiamo le cose senza capire a fondo come funzionano. Lo capisco, siamo spesso troppo occupati per preoccuparci di imparare cose che soddisferebbero esclusivamente la nostra curiosità senza garantirci un vantaggio effettivamente tangibile. Per questo le persone vanno al lavoro in macchina senza sapere come funziona un motore, usano i bitcoin e vi investono persino i loro risparmi senza sapere come funzionano le criptovalute, usano computer e software senza sapere nulla di programmazione e soprattutto, abusano della più diffusa droga psicoattiva, il caffè, senza sapere cosa fa al nostro cervello.

Certo, non è necessario saperlo per continuare a vivere una bella vita, ma se siete almeno un po’ curiosi di sapere come funziona il caffè, continuate a leggere.

Soprattutto nella società occidentale, siamo cresciuti circondati da miti. Perché crediamo ai miti? Perché raccontano una bella storia e a volte preferiamo credere a una bella storia piuttosto che a una scomoda realtà. In generale, siamo stati programmati per pensare che se qualcosa ci sta dando piacere debba farci male. Il caffè è, ovviamente, una delle sostanze più prese di mira da questa ideologia, ciò nonostante contenga alte concentrazioni di flavonoidi, potenti molecole anti-ossidanti e anti-infiammatorie (Libro 1). Ma approfondiamo l’aspetto più strettamente biologico.

Iniziamo con una buona tazza di caffè. Ogni tazza di caffè contiene circa 100 mg di caffeina (o 1, 3, 7-trimetilxantina) (Fredholm 1995). La caffeina viene assorbita nel tratto gastrointestinale. A livelli di picco, la quantità di caffeina rilevabile nei nostri fluidi corporei dopo una tazza di caffè va da 0,5 a 3 mg / L. Tuttavia, la sua emivita varia da 2 a 4 ore e mezza. Ciò significa che dopo poche ore la caffeina perde metà della sua attività biologica (Fredholm 1995). Uno studio ha rilevato che, in media, nel Nord Europa assumiamo un totale di 300 mg al giorno di caffeina per persona (Fredholm 1995). Beviamo tanto caffè perché spesso abbiamo una vita lavorativa molto intensa e la caffeina aumenta la nostra vigilanza e le nostre prestazioni cognitive. Inoltre, come vedremo in seguito, provoca anche il rilascio di dopamina dandoci così una bella scossa oltre che una sensazione di piacere (Panza et al. 2015).

Probabilmente la chiave per meglio comprendere l'attività biologica della caffeina è la sua capacità di inibire i recettori dell'adenosina. Oh, ora è chiaro vero?

Probabilmente no, vediamo allora cosa sono questi recettori dell'adenosina.

Come sapete, l'ATP (adenosina trifosfato) è il carburante delle nostre cellule. L'ATP viene quindi continuamente suddiviso e ri-sintetizzato e l'adenosina viene rilasciata quando l'ATP si scompone. Ciò significa che quando una cellula presenta un’attività metabolica di intensità elevata essa contiene anche molta adenosina. Tale molecola può anche essere rilasciata nell'ambiente extracellulare. Le nostre cellule cerebrali possono percepire la presenza di adenosina perché dispongono di specifici recettori che legandosi all’adenosina segnalano alle cellule che probabilmente è il momento di prendersi una pausa. In altre parole, l'adenosina agisce anche come un fattore regolatorio omeostatico, che orchestra il tasso di consumo di energia e il tasso di offerta dei metaboliti (Fredholm 1995). Quindi quando c'è troppa adenosina le cellule neuronali diventano più letargiche. Esistono diversi recettori per l'adenosina, ma è stato riscontrato che il caffè può inibire il recettore A1 e il recettore A2.

Recettore A1: diminuisce il tasso di accensione neurale e provoca anche una diminuzione del rilascio di neurotrasmettitori. Inibendo questo recettore, la caffeina aumenta l’accensione neurale.

Recettore A2: è coinvolto nella trasmissione dopaminergica. Inibendo questo recettore, la caffeina ha un effetto eccitatorio, che causa il rilascio di dopamina e glutammato.

Quindi, immagino che ormai siamo tutti consapevoli degli effetti a breve termine della caffeina, ma ci sono anche effetti a lungo termine. È stato scoperto che dopo aver assunto caffeina per lunghi periodi di tempo le cavie hanno sviluppato tolleranza alla sostanza poiché le loro cellule cerebrali hanno iniziato a esprimere più recettori A1 (Fredholm 1982). Tuttavia, determinare gli effetti a lungo termine non è così semplice. Ad esempio, nel breve periodo si è scoperto che la caffeina esacerba i sintomi del danno cerebrale ischemico (Dux et al. 1990) ma ha l'effetto opposto se assunto per un periodo di tempo prolungato, addirittura prevenendo il danno cerebrale ischemico (Rudolphi et al., 1989 ). Il trattamento a lungo termine con la caffeina potrebbe ridurre l'attività locomotiva (Nikodijević, Jacobson e Daly 1993) ma aumentare la predisposizione all'apprendimento spaziale (Von Lubitz, Paul, Bartus, et al. 1993).

Uno degli effetti più notevoli e sconcertanti della caffeina è sulle convulsioni. È noto infatti che alte dosi di caffeina assunte in brevi periodi di tempo potrebbero esacerbare le crisi ma se la caffeina viene assunta per periodi di tempo prolungati può avere un effetto del tutto opposto e anti-convulsivo (Von Lubitz, Paul, Carter, et al. 1993).

Uno studio più recente ha anche rilevato che l'assunzione prolungata di caffeina e tè, impedisce l'insorgenza del decadimento / declino cognitivo e della demenza negli anziani. Tuttavia, gli autori della ricerca non hanno trovato una correlazione diretta tra dose ed effetto protettivo, ma hanno scoperto che le donne beneficiano più degli uomini dall'assunzione di caffeina (Panza et al. 2015).

Nel complesso, il bilancio è favorevole all'assunzione di caffeina. Ci sono aspetti negativi (come per qualsiasi cosa assunta in eccesso), ma il caffè non è così male come inizialmente ritenuto. Bere un paio di tazze di caffè può migliorare la produttività, a patto di non berlo la sera poiché in tal caso influenzerebbe il sonno rendendo l’assuntore stanco e improduttivo il giorno seguente. La dipendenza da caffè, invece, potrebbe probabilmente essere associata ai suoi effetti inibitori sui recettori A2, che determinando un più elevato rilascio di dopamina e glutammato nel cervello provocano sensazioni di euforia capaci di creare dipendenza (Huang et al. 2005).

Fonti:

  • Libro 1: Encyclopedia of herbal medicine - Andrew Chevallier 
  • Dux, E et al. 1990. “Protective Effect of Adenosine and a Novel Xanthine Derivative Propentofylline on the Cell Damage after Bilateral Carotid Occlusion in the Gerbil Hippocampus.” Brain research 516(2): 248–56. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2364291.  
  • Fredholm, B B. 1982. “Adenosine Actions and Adenosine Receptors after 1 Week Treatment with Caffeine.” Acta physiologica Scandinavica 115(2): 283–86. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/6291335.
  • Fredholm, 1995. “Astra Award Lecture. Adenosine, Adenosine Receptors and the Actions of Caffeine.” Pharmacology & toxicology 76(2): 93–101. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7746802.    
  • Huang, Zhi-Li et al. 2005. “Adenosine A2A, but Not A1, Receptors Mediate the Arousal Effect of Caffeine.” Nature neuroscience 8(7): 858–59. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15965471.  
  • Von Lubitz, D K, I A Paul, R T Bartus, and K A Jacobson. 1993. “Effects of Chronic Administration of Adenosine A1 Receptor Agonist and Antagonist on Spatial Learning and Memory.” European journal of pharmacology 249(3): 271–80. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8287914
  • Von Lubitz, D K, I A Paul, M Carter, and K A Jacobson. 1993. “Effects of N6-Cyclopentyl Adenosine and 8-Cyclopentyl-1,3-Dipropylxanthine on N-Methyl-D-Aspartate Induced Seizures in Mice.” European journal of pharmacology 249(3): 265–70. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8287913.     
  • Nikodijević, O, K A Jacobson, and J W Daly. 1993. “Locomotor Activity in Mice during Chronic Treatment with Caffeine and Withdrawal.” Pharmacology, biochemistry, and behavior 44(1): 199–216. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7679219.
  • Panza, F et al. 2015. “Coffee, Tea, and Caffeine Consumption and Prevention of Late-Life Cognitive Decline and Dementia: A Systematic Review.” The journal of nutrition, health & aging 19(3): 313–28. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25732217
  • Rudolphi, K A, M Keil, J Fastbom, and B B Fredholm. 1989. “Ischaemic Damage in Gerbil Hippocampus Is Reduced Following Upregulation of Adenosine (A1) Receptors by Caffeine Treatment.” Neuroscience letters 103(3): 275–80. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2812514.

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Immagine CC0 Creative Commons
Si ringrazia @mrazura per il logo ITASTEM.

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