La signora Maria Annunziata Carmi nata Belli soffriva di dispepsia.
Almeno così diceva il suo medico curante. A lei questa parola faceva un po’ paura anche se il Dottor Cimini l’aveva tranquillizzata.
“Signora cara – le aveva detto – i disturbi digestivi legati a un fegato un po’ ingolfato e alla bile spessa sono molto frequenti proprio nelle donne come lei: belle, floride e che hanno avuto diverse gravidanze.
In effetti- pensava Maria Annunziata detta Nuzzi- lei era di bell’aspetto, non per essere vanitosa, ma i suoi lineamenti erano regolari, la pelle luminosa e i fluenti capelli castani piacevolmente ondulati. A quarant’anni, e dopo tre figli, aveva forse messo su qualche chilo, ma non è che le stesse male.
E poi la sua condizione di benessere, dovuta sia alla ricca dote con cui era stata data in sposa vent’anni prima (nel 1918), sia al fatto di aver sposato uno dei più danarosi professionisti della Maremma, le consentiva di curarsi e vestirsi in maniera adeguata, sempre elegante, all’ultima moda e con stupendi cappellini.
Suo marito, il dottor Antonio Carmi, era un agronomo che curava e amministrava tante belle terre della bassa Toscana.
Persona di grande cultura ed intelligenza, rappresentava il riferimento imprescindibile per molti ricchi maremmani che avevano ereditato possedimenti, ma erano privi delle competenze per seguirli.
Così Antonio si era reso indispensabile e prezioso, tanto più che Giuseppe, il suo fratello minore, era uno stimato veterinario, esperto soprattutto in cavalli e bovini. Insieme, dunque, costituivano un team ineguagliabile.
Entrambi i fratelli, poi, avevano sposato giovani belle e danarose, ma, mentre il matrimonio di Nuzzi e Antonio era stato allietato dalla nascita di due maschi e una femmina, Giuseppe e Milena non avevano avuto figli e lei già veleggiava per il trentotto.
Milena, detta Nenina, perché estremamente piccola e minuta, non si crucciava della mancanza di eredi, mentre Giuseppe era dispiaciuto, anche se cercava di non dimostrarlo.
La signora Carmi n1, ovvero la Nuzzi, andava particolarmente d’accordo con la cognata, perché entrambe erano di buon carattere, ma Nenina era dotata di un senso dell’umorismo particolarmente spiccato e riusciva a far ridere la cognata in qualunque circostanza.
Anche in momenti assolutamente inadatti, Nenina e Nuzzi riuscivano a trovare un motivo per scherzare e ridere e questo non sempre divertiva i loro mariti, decisamente più seriosi.
Nenina chiamava la cognata “il mio doppio”, nel senso che la maestosa Nuzzi era alta almeno venti centimetri più di lei ed era di stazza decisamente imponente a fronte delle sue minuscole dimensioni. Nuzzi stava allo scherzo e ricambiava chiamandola “la mia metà”, cosa che faceva molto ridere i bambini e la servitù, ma che sembrava eccentrica ai noiosi mariti.
Una delle loro più divertenti occupazioni era recarsi a Siena a comprare le scarpe, perché entrambe avevano numeri introvabili nelle poche calzolerie di Grosseto.
Nuzzi, infatti, calzava il 41, numero impensabile per una donna negli anni ’30, ma Nenina aveva il problema opposto, col suo minuscolo piedino che corrispondeva a una misura da bambina, il 34.
Dunque, le due cognate, un paio di volte all’anno, si recavano nella città del Palio, accompagnate da un autista, e facevano spese nelle vie del centro, non solo scarpe naturalmente, ma gonne, vestiti, cappotti e cappellini, senza contare borse, biancheria e qualche volta anche gioielli, dato che a Siena avevano un orafo di fiducia.
Nel giugno del 1938, le due donne presero una decisione rivoluzionaria. Sarebbero state fuori una settimana, senza mariti, portando con sé solo la figlia di Nuzzi, Eleonora.
Quest’ultima, benchè avesse solo dieci anni, era già più alta della zia e molto sveglia, soprattutto sempre attenta a ciò che sentiva dire in casa e fuori, non perdeva una battuta.
I fratelli Carmi, pur non entusiasti del fatto che le loro mogli viaggiassero da sole, non si opposero o meglio: Antonio tentò di argomentare sull’opportunità della cosa, ma fu zittito dalla moglie che gli ricordò come avesse soldi propri in abbondanza, come del resto ne aveva Milena.
“Pertanto – aggiunse – noi andiamo dove vogliamo e portiamo Eleonora, così si abitua a capire che le donne possono andare dove vogliono da sole”.
“E dunque dove pensate di andare? A Siena, immagino”
“Veramente no. Stavolta cambiamo. Andiamo a Montecatini”
“Montecatini? Ma è lontano. Ma come ti è venuto in mente?”
“Me lo ha consigliato il dottore, ha detto che lì si fanno cure termali molto adatte ai miei disturbi digestivi. E poi mi dicono che sia un posto molto elegante, come noi, insomma”.
Antonio si strinse nelle spalle.
“E i ragazzi? Portate Eleonora, ma chi si occuperà di Giorgio e Franco?”
“Tu, per esempio. E comunque ci sono le domestiche per preparare i pasti.
E poi, ascolta, Giorgio ha diciotto anni e Franco sedici. Sarà bene che comincino ad abituarsi a non essere cocchi di mamma. Se no vengono su come tu e tuo fratello”
“Che vuoi dire? Non mi pare…”
“Ecco, invece a me sì. Siete due mammoni. Vostra madre ancora vi comanda a bacchetta. I miei figli devono essere più liberi, capito?”
No, non aveva capito – pensava Antonio piuttosto arrabbiato – ma tanto con quella donna e ancor più con sua cognata non si ragionava. Avrebbero fatto comunque ciò che volevano.
(continua)
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Bella determinazione, si fa così, con i mariti rompiscatole e mammoni
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