No, non si tratta di un errore. Ciò di cui si parla in questo nuovo post è proprio la cera, quella delle candele o delle api, oppure quella che usate per lucidare mobili e pavimenti...
…Anche se, naturalmente, non è ad attività così edificanti che vi sto invitando. La cera che cola qui, è, come vedrete, la metafora – o la controfigura, se preferite – di qualcosa di molto più inquietante e disgustoso.
Che dire? Ultimamente, mi sembra quasi di aver abusato della rubrica I Giganti, proponendovi solo temi e personaggi “di alto profilo”. È tempo che Altrimondi torni nei bassifondi del Fantastico, a ri-tuffarsi nel folle universo della creatività low budget…
Esiste un confine indeterminato e indeterminabile – in quel limbo che separa il crepuscolo dalla notte – lungo il quale genio e demenza, ciarlataneria e intuizione surrealista si incontrano e, in virtù di un incantesimo misterioso, si conciliano perfettamente. Questo confine non è la Twilight Zone di Rod Serling, ma semplicemente lo spazio estetico e mentale in cui nascono i “cult movie”, un’espressione che – in materia di paradossi – può indicare tanto Il mistero del falco (capolavoro e manifesto del Noir americano, firmato da John Huston nel 1941), quanto le imprese delle antieroine motorizzate e pettorute di Faster Pussycat! Kill! Kill! (Russ Meyer, 1965).
È qui che – per caso e per (s)fortuna – incontriamo L’uomo di cera (alias The Incredible Melting Man) di William Sachs, reperto di quel cine-trash ruspante e semi-sotterraneo che infesta gran parte dei Seventies. Se gli anni Cinquanta sono stati infatti il regno dell’immaginario “alieno”, dominato dalla figura del subdolo invasore e da quella dell’insetto gigantesco, i Sessanta hanno segnato un ripensamento, o meglio un ripiegamento verso figure del mostruoso più tradizionali – dal Dracula di Christopher Lee al Frankenstein di Cushing, passando attraverso mille sfumature e invenzioni – dove è stato in particolar modo l’horror britannico (con la casa di produzione Hammer) a farla da padrone. Il decennio successivo, dicevo, giunge portando con sé un’aria di crisi e “di rivoluzione” – rivoluzione del gusto, dell’immaginario, del ritmo e dei contenuti narrativi, che è il lontano riflesso di ben altri sconvolgimenti culturali e politici… Ma è meglio non spingersi troppo in là su questa strada, che finirebbe col portarci lontano. Diciamo solo che The incredible Melting Man (datato 1977) è un tipico prodotto di questo turbolento ed esaltante periodo della storia occidentale.
La cosa buffa è che, appena affermato quanto sopra, mi trovo costretto a riconoscere che il film di Sachs, di per sé, non ha nulla di nuovo né di particolarmente originale da dire… A tutti gli effetti, è il remake (rigorosamente non dichiarato) di un classico del fantacinema inglese degli anni Cinquanta – L’astronave atomica del dott. Quatermass (Val Guest, 1955) – benché scritto e girato con una dose di sciatteria che in quell’illustre prototipo non era riscontrabile. Peraltro, i commentatori americani – animati dall’immancabile spirito patriottico – tendono a ricordare distrattamente questo dato di fatto e ad attribuire l’ispirazione sachsiana a The First Man Into Space (Robert Day, 1959), altro non certo imperdibile reperto del fantacinema a basso costo, che però gode del marchio Made in USA. Questo punto, questa genealogia degli uomini “di cera”, gelatinosi, anfibiomostruosi e ripugnometamorfici è senza dubbio un tema su cui sarà interessante ritornare in futuro… ma per ora, rimaniamo nel 1977.
Stando alle linee-base del racconto, la faccenda è semplice: l’astronauta Steve West, durante una scampagnata presso gli anelli di Saturno, viene investito da una misteriosa radiazione che uccide istantaneamente i suoi copiloti e trasforma lui in una sorta di lebbroso sanguinolento. Una volta rientrato sulla Terra, il poveruomo fugge dall’ospedale in cui giace impacchettato come un faraone e comincia a fare scempio di chiunque abbia la sventura d’incontrarlo. Questo perché West ha scoperto, non si sa come, di aver bisogno di “assimilare” cellule di altri esseri umani per mantenersi in vita. La cosa, comunque, non sembra funzionare un granché, visto che, di scena in scena, lo incontriamo sempre più liquefatto e sbrindellato…
Nella caccia all’uomo “senza quartiere” che segue la sua fuga solo due persone (e pure alquanto imbranate) sono coinvolte: il dottor Ted Nelson e il generale Perry, i quali peraltro corrispondono agli unici volti (più o meno) noti del cast, i veterani della televisione americana Burr DeBenning e Myron Healey. La determinazione e l’iperattività di cui questi instancabili mastini sono capaci è tale che, mentre il mostro miete vittime nelle campagne, loro si godono un tranquillo dopocena a casa di Nelson e la moglie di quest’ultimo è costretta a – ehm – sollecitarli gentilmente, “Andate là fuori a cercarlo, che diavolo!”.
Del resto, quest’ultimo è solo un piccolo episodio nello spumeggiante Festival della Comicità Involontaria da cui il film è pervaso e travolto, ma potrebbe – con un po’ di buona volontà – essere interpretato come un indizio… Vuole la leggenda, alimentata dallo stesso Sachs, che in origine The Incredible Melting Man fosse stato concepito come una sorta di “commedia nera”, una parodia surreale e autoironica del fantahorror imperante, e che solo l’intervento degli avidi produttori – attraverso tagli e rimontaggi vari – l’avrebbe mutato in qualcosa di forzatamente “serio”, producendo così un ibrido senz’anima, né carne né pesce. Un alibi consolatorio che difficilmente convincerà fino in fondo chi abbia visto il film…
Ma quindi, se escludiamo il suo carattere sconclusionato, goffo, malamente assemblato, perfidamente sceneggiato e atrocemente recitato – cioè le stimmate del più genuino trash – cosa fa de L’uomo di cera un vero cult? Semplice: la presenza nel suo cast tecnico di Rick Baker, ingegnoso ideatore e realizzatore di effetti speciali destinato – di lì a poco a diventare una vera e propria star hollywoodiana. All’epoca, il buon Rick ha già lavorato con un promettente pazzoide come John Landis (Schlock, 1973), ha collaborato alla confezione di un “cult” – decisamente più rispettabile – come It’s Alive (Larry Cohen, 1974) ed è asceso alle vette del vero kolossal con il King Kong di John Guillermin (1976), passando anche sul mitico set del primo Star Wars (George Lucas, 1977)… Perché mai dovrebbe salire su un carrozzone bislacco come quello di The Incredible Melting Man? È la stessa domanda che si è posto lui, a quanto si dice. La risposta, forse, sta nel gusto per la sfida: con mezzi risibili, Baker realizza un travestimento-maschera di materiale viscoso e grondante che a conti fatti è il miglior attore presente sulla scena, capace di sostituirsi efficacemente al protagonista Alex Rebar e di donare almeno un po’ di saporito gore a una pellicola che – diversamente – sarebbe piacevole quanto una colica renale.
E, dalle frequenze subspaziali di Altrimondi, questo – per ora – è tutto.
Grazie e a presto!
Testo estremamente piacevole.
Voto inoltre a favore di un ciclo di post relativo al Festival della Comicità Involontaria 😁
Ah! Caro @grendelorr... ci vorrebbe un'intera enciclopedia :-) Grazie mille.
congratulazioni per l'ironia del titolo e per l'interessante contenuto del post. Bravo!
Grazie! Parto sempre dall'idea-guida che per divertire bisogna divertirsi :-)