Spesso i rapporti personali sono attraversati da incomprensioni che, se non risolte, ne determinano un graduale, e inesorabile, deterioramento. Questo accade tra conoscenti, amici, coniugi. Accade anche nel lavoro, ma qui le dinamiche sono diverse, in questo ambiente spesso i rapporti sono inquinati da interessi più o meno dichiarati. Tra amici e conoscenti la cosa si risolve spesso con l’abbandono o la rarefazione dell’incontro, ma nella coppia le cose sono meno semplici, se non altro perché la relazione non è limitata alle occasioni ma si ripete quotidianamente in tanti momenti, molti dei quali inevitabili.
Incomprensioni a volte legate a piccole questioni, quindi risolvibili; ma spesso queste “incomprensioni” scatenano una sequela di difficoltà che è inutile pensare di risolvere provando a “fare chiarezza”. Anzi, il più delle volte più ci si vuole chiarire più tutto s’ingarbuglia, tanto che a un certo punto si vorrebbe essere muti o avere un bel paio di palpebre alle orecchie da poter abbassare al bisogno. E quando la matassa si ingarbuglia fino a che il capo è inestricabile, allora sembra che la soluzione migliore sia quella del taglio netto del filo.
È anche vero che nella coppia vi è una certa asimmetria tra maschio e femmina, i maschi se la cavano meglio quando ricorrono a strategie fisiche; le femmine, invece, quando ricorrono a strategie verbali. Loro sono infatti più brave a controllare l’utilizzazione del linguaggio, fanno palestra ogni giorno, parlano parlano parlano, statisticamente tre volte più dei maschi; a maggior ragione, quindi, più si prova a discutere più le cose si complicano.
Il fatto è che quando non “ci si capisce”, non è perché le parole non sono chiare, è solo perché non si parla allo stesso modo, non si usa cioè lo stesso vocabolario. Le parole non sono contenitori vuoti, rappresentano invece i mondi che ciascuno si porta dentro, e questi mondi, nelle circostanze contemporanee, spesso si formano in situazioni molto diverse per entrambi, e se anche i mondi di provenienza non sono così diversi è la vita quotidiana che allontana. Mondi diversi che generano valori diversi, che danno alle parole significati diversi.
Oggi le rotture coniugali, purtroppo, avvengono con una facilità fino a non molto tempo fa inimmaginabile. Capita spesso di vedere matrimoni sfasciati solo dopo pochi mesi.
Salvatore Niffoi, uno scrittore sardo che scrive di passioni sangue e amori (i cui romanzi consiglio vivamente), parlando di queste cose ad una sua presentazione, disse più o meno così: “Una volta” l’amore coniugale era robusto come una quercia, anzi granitico, si rinnovava nel patto della vita contro la morte; mentre oggi ci si sente immortali e si rifiuta la morte, ma questa poi invade la vita di quel senso di provvisorietà e precarietà che in fondo è negazione di vita, perché la vita per essere tale ha bisogno del senso di continuità e di relazione con chi prima di noi e chi dopo di noi, perché siamo nulla in relazione al nulla.
Niffoi parlava di un amore coniugale che oggi non vive più di solidità, abnegazione, solidarietà, comprensione, tolleranza, un tempo, invece, l’amore coniugale teneva uniti specialmente nei momenti più duri e disperati; parlava dell’amore odierno come di un amore globalizzato, omologato, plasmonianamente omogeneizzato; parlava di un amore unito col moccio, di amori per i quali cioè basta uno starnuto per mandarli via; parlava di amori fatti solo di egoismo profondo. E gli egoismi profondi, sempre secondo Niffoi, quando si incontrano non fanno nascere grandi amori e né mai grandi famiglie, ma solo grandi egoismi autodistruttivi. Amori attaccati col moccio. Perché pretendono di fondarsi sulla felicità. E perseguendo la felicità, il grande equivoco della nostra società liquida, si costruisce solo l’effimero.
A proposito della felicità, il vecchio Solzhenityn, ormai del tutto ignorato dagli stessi che si erano illusi di poterlo strumentalizzare per i propri meschini giochi, ebbe a dire: “È sbagliato indirizzare le persone verso la felicità, anche perché essa è solo un idolo del mercato, si dovrebbe al contrario indirizzarle verso l’affetto reciproco. Anche la bestia che mastica la sua preda, può essere felice, ma solo gli esseri umani possono provare affetto l’uno verso l’altro”.
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