Conclusioni #2

in #ita7 years ago

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L’Europa fin dagli anni ‘50, anche a livello culturale cede gradualmente il suo primato e inizia suo malgrado a riconoscere l’ampiezza del mondo. Il dialogo con l’Oriente si fa determinante, e le Neo-avanguardie, qui più che in America acquisiscono un carattere politico e sociale determinante con la nascita del Lettrismo e del Situazionismo e con la presenza di Joseph Beuys. Probabilmente per queste ragioni dagli anni ‘60 in poi il Living Theatre, in seguito Joseph Kosuth e Sol Lewitt eleggeranno l’Europa come loro sede definitiva.

Proprio per questo la cosiddetta “fine delle ideologie” e di questo fermento culturale-sociale è qui più che altrove particolarmente sentita. Si apre infatti una ferita che segna la compagine culturale. Il ritorno alla pittura viene qui sentito particolarmente come una sconfitta delle istanze cosiddette utopiche.

Gli anni ‘90 si aprono così con l’aperta imposizione di una “Vetrina Internazionale”, iniziata però già a strutturarsi negli anni ’80, costituitasi attraverso il “raddoppiamento” delle gallerie presenti sia in Europa che in America, triplicatosi poi negli anni ‘90 e 2000, estendendone la presenza anche in Cina. Ma questo riguarderà anche le gallerie americane.

Vi sono qui in Europa dei tentativi validi di impostare un criticismo non più eurocentrico, ma corrispondente a una chiara lettura “globale” dell’arte e della cultura e non semplicemente “globalizzata”. Questi tentativi sono rappresentati magistralmente dalla mostra “Les Magiciens de la Terre”, organizzata alla fine degli anni ‘80, ma che non darà seguito a passi successivi ugualmente propositivi. Si risente di una crisi economica endemica che segnerà l’Europa più che l’America dalla fine degli anni ‘80 in poi.

Gli anni 90 riprendono i linguaggi e gli sconfinamenti delle Neo-avanguardie degli anni ‘60 e ‘70, ma decontestualizzandoli dai loro obbiettivi e dalle loro finalità, dalla loro stretta vicinanza con il tessuto sociale dell’esperienza, trasformandoli in mere pratiche estetiche. La presenza femminile qui in Europa (a eccezione di artiste donne particolarmente esemplari, ma che appartengono alla precedente generazione neoavanguardista) non risulta interconnessa come in America, e non offre una reale alternativa alle “pratiche estetiche” già accennate.

Vi sono dei percorsi indirizzati verso la comprensione dell’arte come di una “pratica sociale e relazionale” non meramente estetica. Ma anche lì il vero obbiettivo è di rendere il sociale estetizzante, relegandolo poi nel contesto espositivo, decontestualizzandolo quindi dalla realtà, devitalizzandolo per trasformarlo in fondo in una merce ad alto contenuto culturale, in poche parole “griffata”, se mi si consente il termine.

Tuttavia il fatto che gli artisti riprendano i linguaggi delle Neo-avanguardie è a mio avviso un chiaro segnale anche dell’insoddisfazione determinata dal relegare l’opera d’arte al mero ruolo di merce, ed è palese l’inquietudine conseguente alla chiusura del circuito denominato “Sistema dell’arte”. A mio avviso l’inquietudine e l’insoddisfazione non potranno che portare alla ricerca di “altre strade”.

Forse i possibili nuovi percorsi potranno partire dalla ricerca di un dialogo più diretto con le “culture altre”, e il possibile ponte potrebbe essere l’Arte Relazionale. Le possibilità come al solito sono certo più ampie delle possibili previsioni, e la realtà ci sorprenderà come sempre.

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