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Gli “A nameless Inertia” sono una band bolognese (per la precisione di Imola) che pochi giorni fa ha rilasciato il suo primo album dal titolo “Anthropocentric”, ed invitato a questo evento ho preso il loro lavoro, e devo dire che mi sono trovato davanti ad un prodotto di elevata qualità. La band etichetta il genere musicale da loro prodotto e suonato come “Djent”, ma reputo sbagliato questa definizione, infatti in ogni singola traccia di questi 5 ragazzi riesce a spaziare tra varie sonorità e questa lo si evince già dalla seconda traccia “As th Blindman Hears” dove delle ritmiche frenetiche tipicamente “djentose” si alternano a parti dissonanti molto più vicine al Mathcore o all’Hardcore, per poi avere delle linee vocali incredibilmente melodiche del cantante Francesco Bombaci, che riesce a fare perfettamente da collante tra cattiveria, dissonanza e frenesia.
Dopo “Shell Shock”, brano incentrato sulla sindrome post-traumatica da guerra, si arriva a quello che è il primo, e fino ad ora unico, singolo estratto da questo lavoro, ovvero “A Nameless Inertia”, brano molto rapido, ricco di riff poliritmici e dove le due chitarre fanno la voce del padrone per tutta la durata del pezzo, infatti gli intrecci creati dal duo formato da Ivan Ceriani ed Alex Zannoni colpiscono subito l’orecchio, soprattutto durante i rispettivi assoli, incredibilmente melodici ma allo stresso tempo ricchi di virtuosismi. Il brano si chiude con una outro in acustico del ritornello che risulta essere la ciliegina sulla torta di questa loro composizione.
Dopo “Monade”, unico pezzo in italiano dell’intero lavoro, si arriva a “Break the Cycle”, pezzo che ricorda moltissimo alcuni pezzi dei Periphery (come ad esempio “Graveless”) con struttura in tempo dispari dove la sezione ritmica composta da Valerio Raineri e Filippo Brunori riesce a costruire il tappeto perfetto dove cantare la rabbia ed odio in un ipotetico dialogo con Dio. “Kernel Panic” è senza dubbio il miglior brano di tutto il lavoro dove elettronica (soft, sia chiaro), poliritmiche, melodie e chi più ne ha più ne metta il tutto mischiato saggiamente e senza mai strafare in nessuna delle varie direzioni, creando una traccia solida, che scorre all’ascolto senza mai fermarsi; il tutto viene reso perfetto da una produzione da applausi.
“Choices” risulta essere la penultima traccia (l’ultima se si esclude l’outro “Anthropocentric: Joyful Contemplation”) ed quella che probabilmente risulta essere la più melodica, infatti con continui richiami alle sonorità dei nostrani Destrage scorre piacevolmente senza grossi intoppi.
Per essere una autoproduzione ci troviamo davanti ad un ottimo lavoro ben scritto ed incredibilmente prodotto, dove la minuzia nei dettagli e nei piccoli accorgimenti (come ad esempio i cori incisi dai due chitarristi, che nei live risultano essere realmente loro alle seconde voci) fanno capire quanto questa band si sia dedicata a questa introspezione umana in musica. Trovate tutto il lavoro sia su Spotify che su YouTube, ed io non solo vi consiglio caldamente l’ascolto, ma anche di andarli a vedere dal vivo, perché meritano particolarmente anche da sotto un palco, e se non potete vedere loro, andate a vedere qualsiasi altra band della vostra zona, perché sicuramente c’è un sacco di roba grandiosa di ascoltare che merita soltanto di uscire dall’ombra.
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