Namid - Stella che balla

in #ita7 years ago (edited)

La mia piccola
è venuta al mondo
per raccogliere rose selvatiche.
E' venuta al mondo
per scuotere dalle spighe
con le sue piccole dita
il riso selvatico.
Per raccogliere in primavera
il succo fresco della giovane
pianta di cicuta.
Questa piccola bimba
è venuta al mondo
per raccogliere fragole,
per riempire i cestini di mirtilli,
sambuco e bacche.
La mia piccola è venuta al mondo
per raccogliere rose selvatiche.


Non mi resta niente altro di lei, lo sai. Niente, se non questa canzone che mi risuona dentro quando cerco di addormentarmi e il vento del giorno si placa un poco. Niente, se non uno schizzo del suo viso fatto da uno dei soldati settimane dopo quel 9 gennaio 1879.

Quante volte mi hai sentito cantare "La mia piccola è venuta al mondo per raccogliere rose selvatiche", figlia? Quante notti ti sono state sorelle al suono di quelle parole antiche? Quante volte mi hai chiesto di lei, di tua nonna? Crescevi e le ninnenanne non ti bastavano più: "Raccontami ancora, mamma, dai..." E io ti raccontavo di Namid - Stella che balla e dei Cheyennes che raccoglievano le erbe e cacciavano il bisonte. Povere parole per povere cose, perché io più di quelle non conoscevo. Ti raccontavo anche del suo nome, datole da suo padre Honiahaka - Piccolo lupo, perché quando lei si muoveva sembrava brillasse il cielo. La piccola Namid danzava in ogni suo gesto, aveva una musica silenziosa che guidava ogni suo movimento, quando legava le fascine di sterpi e quando giocava con i cuccioli di coyote, quando correva con i suoi fratelli nel campo e quando arrivava al fuoco affamata. Era una gioia degli occhi e del cuore. "Questa piccola bimba è venuta al mondo per raccogliere fragole", cantava lei a me e cantavo io a te, finché ho potuto.

Poi non hai più voluto sentire di rose e di fragole, il tempo passava e la storia della danza e della gioia non ti bastava più. Ricordi quel giorno? Tornasti dalla scuola silenziosa, cupa, spaventata. Provai a chiedertene il motivo e ti ritraesti, chiudendoti nella tua stanza. Bussare? Violare quello spazio e quel silenzio? Quante volte ho esitato dietro quella porta, domandandomi se dovessi venire a parlarti oppure lasciarti sola con i tuoi tempi e i tuoi umori. Quel giorno insistetti. Eri distesa sul letto e stringevi il cuscino. Quando entrai ti voltasti a guardarmi, continuando a fissarmi mentre mi avvicinavo e mi facevo spazio per sedermi vicino a te. La mia presenza scatenò la piena: lacrime, parole, domande, racconti spezzati dai singhiozzi. Capii a fatica che qualche compagno ti aveva offesa, prendendoti in giro per il colore della tua pelle e la forma del tuo viso. Ti aveva chiamata squaw e molti avevano riso. Avevano riso di te. Non ti sembrava sopportabile, piangevi e mi gridavi addosso che quel colore, quel naso, quegli occhi "ti ripugnavano". Così dicesti.


Così capii che era venuto il giorno, che non potevo più rimandare. Ti raccontai la vera storia di Namid e di Arthur, il soldato ragazzo, che la trovò nascosta sotto una catasta di legna mentre tutti i suoi venivano fatti a pezzi nella neve dai soldati degli Stati Uniti. Decine e decine di esseri umani, anziani, donne e bambini. Tanti bambini. Molti vennero scotennati anche da morti, non solo dai soldati ma persino dai coloni che avevano sentito della strage e si erano mossi per razziare quello che riuscivano. Arthur era inorridito, pietrificato da quello che vedeva. Era poco più di un ragazzo, quel 9 gennaio 1879 a Fort Robinson. Quando la vide, quando si accorse che l'essere che si muoveva appena sommerso dalla neve era una ragazzina, le andò vicino. Più per mettere in salvo se stesso dall'inferno umano di cui era partecipe, che per salvare lei, io credo. Ma questo bastò a dargli forza, lei bastò. Così prese un cavallo, gli salì in groppa e fuggì via portandosela dietro, stretta alla sua schiena. La portò al forte principale della guarnigione, direttamente dal generale Crook, al quale raccontò l'accaduto. Fu il generale, sconvolto dal comportamento dei suoi uomini, a mettere la ragazza sotto protezione. E a nulla valsero le proteste del capitano Wessels, che per giustificare la carneficina scrisse nel suo rapporto che i Cheyennes erano armati come mai gli era capitato di vedere prima di allora.

Namid restò al forte per mesi e Arthur si prese cura di lei. Nessuno poteva avvicinarsi se non lui, solo da lui lei accettava il cibo, solo da lui i vestiti con cui le donne del forte cercavano di addomesticarla. Arthur era il suo cibo, il suo sole e la sua luna. E per Arthur Namid era di nuovo Stella che balla. Nel disegno che la ritrae portava ancora sul viso i segni che si era fatta per piangere il suo lutto, il lutto del suo popolo.

Io nacqui due anni dopo. Arthur mi chiamò Mary, come sua madre e come la Vergine Santa, il nome che porto ancora fuori di casa. Namid invece mi dette il nome dell'uccello che vola alto, che guarda lontano e non ha mai paura: Migisi, Aquila, come venivo chiamata a volte in casa, anche da tuo padre, che Dio Spirito Alto e Grande lo tenga sui suoi prati. Ma questo lo sapevi, la storia successiva dei tuoi nonni la conoscevi già. La Grande Guerra, la depressione, la morte.
Alla fine del mio racconto la tua rabbia si era sciolta in lacrime silenziose e mi abbracciasti. Non dimenticherò mai quell'abbraccio, il calore del tuo cuore che ritrovava la strada di casa, che finalmente sapeva che cosa significasse la nostra casa. Non ci furono mai più umiliazioni, nessuno ebbe più la forza di scalfire il tuo orgoglio e la tua fierezza. Tu non l'hai mai più concesso a nessuno.


Ti scrivo ora, che il mio tempo sta finendo, per chiederti una promessa e so che tu me l'accorderai. Vorrei che, quando un giorno dovessi diventare madre anche tu e la Grande Luce volesse regalarti una figlia, tu le dessi il nome di Namid.


Sii felice, figlia mia, e porta sempre nel cuore il nostro abbraccio.

Tua madre



Ripiegò la lettera e chiuse gli occhi. Si concentrò sul proprio respiro che entrava ed usciva dal ventre. Stette in ascolto dei battiti del cuore, una musica lenta. La mia piccola è venuta al mondo per raccogliere rose selvatiche... Poi guardò la propria immagine allo specchio: il trucco, le perle, lo chignon alto sulla testa. Accanto, il tutù da Odette e le scarpette, immacolate, con i loro lunghi lacci lucidi. Tutto era pronto. Lei era pronta. Il teatro, come a ogni spettacolo, esaurito. Alla vigilia di ogni prima rileggeva sempre quel foglio che sua madre le aveva regalato al primo saggio, la lettera con cui sua nonna aveva scelto il nome che lei avrebbe portato. Le dava pace, la centrava al punto esatto di se stessa e del mondo che abitava. Namid. L'Etoile qui dance.


Con questo post partecipo al contest di @heidi71 - Un biografia immaginaria.

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grazie @pataxis per il tuo contributo!

Grazie a te :)

Bellissimo taxi 😍

Grazie tesora

Grande @pataxis. Bel racconto. Smack!!

Bellissimo :)
Quando ho visto il ritratto di @heidi71, per prima cosa ho pensato a una ragazza che probabilmente, se ne avessi scritto, avrei chiamato Aisha, e che nei miei pensieri vorticosi ha vissuto qualcosa di simile alla tua Namid, ma all'altro capo del mondo, sull'altopiano iranico o nel deserto siriano. Ci ho rivisto lei. Bello bello bello <3
ps: il nome poi, mi piace da impazzire :D

E' un vero nome Cheyenne, come gli altri. Anche la ninnananna è originale e così la storia del massacro e dei suoi protagonisti maggiori.
Grazie!

Bellissima <3

Per me hai già vinto! Da quando sono iscritta a steemit mi ritrovo a commuovermi ogni giorno e tu sei una delle artefici principali! <3

Bella di casa 😘

Una storia stupenda, ho amato molto il tuo racconto ed il suo ritmo. La storia mi ha affascinata, il finale...mi ha un po' sorpresa! Bello, davvero!

Grazie :)