Domanda interessante, da dove veniamo, dove andremo? Si tornerà all’inizio, a prima della nascita? Giordano Bruno disse “Chi, perciò, consistendo nel luogo e nel tempo, libererà le ragioni delle idee dal luogo e dal tempo, si conformerà agli enti divini.” Giordano Bruno aveva coscienza della dimensione dello spazio/tempo e affermava che chi vivesse in una dimensione terrena soggetta alle leggi dello spazio e del tempo cronologico potesse, liberando la mente, entrare nella dimensione divina dove spazio e tempo non hanno significato.
Giovanni evangelista disse:
“In principio era il Verbo”
“E il Verbo si fece carne”
Prima del big bang cosa c’era? Esisteva già lo spazio/tempo o è stato generato dal big bang? Secondo Giovanni in principio era il verbo o logos che in greco indica il pensiero che si esprime attraverso la parola. Giovanni sottintende che prima di tutto ci fosse il pensiero divino, prima di tutto, quando nulla c’era esisteva il pensiero di Dio al di la dello spazio/tempo. Il termine Dio deriva dal latino Deus "luminoso, splendente, brillante, accecante", altri utilizzano come sinonimo di Dio “il grande architetto dell’universo”. Giovanni affermò che il verbo o pernsiero di Dio o la luce divenne uomo, per cui nell’uomo, secondo quanto scritto da Giovanni Evangelista, c’e la luce divina, il pensiero divino, Dio stesso. Secondo Giordano Bruno Dio è “non misurabile né pareggiabile, in cui è il tutto, e che non è in nessuno neanche in se stesso, perché individuo e la semplicità medesima, ma è sé.” Frase enigmatica, si potrebbe intrepretare che è e che non è nel tempo e nello spazio. Anche L. Ron Hubbard ne “Il principio dinamico dell’esistenza” fa riferimento alla singola parola o verbo affermando che motiva tutte le cose viventi. Un ramo del buddismo si spinge oltre con alcune forme di meditazione che rappresentano la natura della mente stessa, non creata, avente le caratteristiche di spazio, luminosità ed assenza di limiti, lo scopo ultimo è il riconoscimento della natura della mente, l'illuminazione. Comprensibilmente è la mente che permette all’essere umano di comprendere la parola, di porsi di fronte all’immensità dell’universo, che lo rende consapevole che esistono mondi a milioni di anni luce, che se li osservasse in questo preciso momento vedrebbe com’erano alcuni milioni di anni fa. Questo pensiero è troppo per la mente umana, è meglio non pensare e fare finta di nulla? fare finta che questa sia l’unica realtà possibile? Gli esseri umani percorrono diverse strade per aumentare la propria consapevolezza rispetto all’immensità, religioni, esoterismo, misticismo, alchimia, meditazione, scienza, naturalismo, vita a contatto con la natura ecc ecc ma si può comprendere qualcosa di incomprensibile? Qualche passo avanti è stato fatto nel corso dei secoli rispetto ai tempi in cui non si conosceva nulla e si viveva giorno per giorno? Gli animali vivono giorno per giorno, nascono, si riproducono, muoiono senza rendersi conto di nulla? Gli esseri umani nascono, non necessariamente si riproducono, si istruiscocono e con la conoscenza vengono le domande, alcuni non trovano risposte, altri le trovano nella fede, tornano da dove sono venuti, probabilmente in una dimensione al di fuori dello spazio tempo. Secondo il cristianesimo la carne risogerà per volere divino, senza che uno spermatozoo fecondi un ovulo. Oggi è possibile produrre un essere vivente attraverso la clonazione, senza fecondazione, partendo da una cellula. Ma allora l’uomo è Dio visto che puo far risorgere la carne? Ovviamente si tratta di un paradosso, la clonazione è presente in natura e permette alle piante di riprodursi. Per l’esoterismo ermetico al momento della morte è soltanto il corpo fisico a perire, il corpo mentale è immortale. Franz Bardon, maestro di ermetismo, scrisse: "L'uomo è il microcosmo dell'universo; l'iniziato sa bene che non esiste nulla che si possa definire aldilà, questo mondo o l'altro mondo, quindi non ha paura della morte, concetto che per lui è del tutto estraneo. La morte non è che un passaggio dal mondo terreno al mondo astrale”.
Martin Heidegger, studioso di metafisica, afferma:”Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla?” Aristotele affermò che "la sostanza è insieme di materia e forma, essenza dell'essere ed essere dell'essenza" Aristotele produsse una metafora interessante paragonando l’anima o corpo mentale o essenza dell’essere all’aroma di un vegetale e la materia all’essere dell’essenza, quella sostanza in grado di estrarre l’essenza. Potremmo continuare all’infinito con speculazioni di questo tipo, concludo con William Shakespeare nell’ Amleto:
“Essere, o non essere, questo è il problema:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d'atroce fortuna
o prender armi contro un mare d'affanni
e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire…
nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.
Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,
il torto dell'oppressore, l'ingiuria dell'uomo superbo,
gli spasimi dell'amore disprezzato, il ritardo della legge,
l'insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione.”
“To be, or not to be, that is the question:
Whether 'tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them? To die, to sleep…
No more, and by a sleep to say we end
The heartache and the thousand natural shocks
That flesh is heir to: 'tis a consummation
Devoutly to be wished. To die, to sleep.
To sleep, perchance to dream. Ay, there's the rub,
For in that sleep of death what dreams may come
When we have shuffled off this mortal coil
Must give us pause. There's the respect
That makes calamity of so long life,
For who would bear the whips and scorns of time,
Th'oppressor's wrong, the proud man's contumely,
The pangs of despis'd love, the law's delay,
The insolence of office, and the spurns
That patient merit of th'unworthy takes,
When he himself might his quietus make
With a bare bodkin? Who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscovered country from whose bourn
No traveller returns, puzzles the will,
And makes us rather bear those ills we have
Than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all,
And thus the native hue of resolution
Is sicklied o'er with the pale cast of thought,
And enterprises of great pitch and moment
With this regard their currents turn awry,
And lose the name of action.”
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