Lavoro agile, smart working o telelavoro. Tutti termini atti ad indicare, sebbene con differenti sfumature, una modalità di lavoro “nuova” che il professionista o il dipendente possono esercitare da casa propria o da qualsiasi altro luogo del mondo in cui sia presente una connessione internet.
L’epidemia di Coronavirus che ci sta obbligando a rimanere il più possibile tra le mura domestiche ha, ovviamente, dato una spinta positiva all’adozione dello **smart working **nelle aziende italiane, dal pubblico al privato. Ma nel nostro Paese siamo davvero pronti a non andare in ufficio? Prima di provare a rispondere, però, proviamo a chiarirci le idee…
Smart working e telelavoro: significato e differenze
Smart working e telelavoro sono la stessa cosa? No, questi due termini indicano due differenti sfumature di quello che viene generalmente definito come il “lavoro da casa”.
Il telelavoro, se vogliamo, potremmo definirlo come una forma meno evoluta di smart working e più legata alle routine aziendali. Diffusasi a partire dagli anni settanta, questa modalità di lavoro implica che il dipendente svolga le proprie mansioni da casa (e spesso collegato in remoto alla rete aziendale) o da strutture aziendali decentrate.
Una delle differenze principali con lo smart working risiede nell’orario lavorativo che, molto spesso, è il medesimo di quello “da ufficio” anche se nell’accordo interconfederale del 2004 (*1) si legge che *“il telelavoratore gestisce l’organizzazione del proprio tempo di lavoro” *ma sempre seguendo le normative aziendali o di contratto collettivo. Chi esercita il telelavoro deve altresì attenersi al riposo obbligatorio dopo undici ore di lavoro e astenersi dall’attività lavorativa dalla mezzanotte alle cinque.
Non a caso, invece, in Italia lo smart working viene definito “lavoro agile”. A differenza di quanto accade con il telelavoro, lo smart worker può decidere in autonomia il luogo da cui lavorare così come l’orario in cui lavorare. Una delle differenze sostanziali rispetto al telelavoro risiede infatti in un concetto di produttività non più legato al tempo dedicato quotidianamente al lavoro ma al raggiungimento di obiettivi a breve, medio e lungo termine.
Il lavoro agile: regolamentazione italiana
Lo smart working è stato inserito nell’ordinamento italiano nel con la legge 81/2017, al cui interno è possibile trovarne anche la sua definizione giuridica:
si definisce il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno
senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
A partire da novembre 2017, le aziende che decidono di attivare accordi individuali con i propri dipendenti a tema lavoro agile possono inoltrare la documentazione direttamente online sul portale dei servizi del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
In questa fase di emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Coronavirus (Covid-19), il Dpcm (Decreto del presidente del consiglio dei ministri) del 1° marzo 2020 offre ai datori di lavoro di offrire la modalità di lavoro agile a tutti i propri lavoratori dipendenti anche in assenza di accordi individuali. Tale regola è applicabile sino al mese di luglio 2020, salvo eventuali proroghe.
Il lavoro agile in Italia: numeri e dati
Se per molti professionisti il lavoro agile è ormai una regola, nelle aziende pubbliche e private non mancano le difficoltà nell’approcciarsi a questa nuova modalità di lavoro. Il trend italiano è, in generale, positivo con circa 570 mila smart worker su circa 23 milioni di occupati ad ottobre 2019, il 20% in più rispetto all’anno precedente.
Pubbliche amministrazioni
A risentire maggiormente di difficoltà di utilizzo ma, soprattutto, di approccio è la Pubblica amministrazione. Nel settore pubblico, nel 2019, il lavoro agile ha coinvolto solamente il 12% dei dipendenti nonostante siano raddoppiati i progetti strutturati.
Una percentuale molto bassa, soprattutto tenendo conto che secondo la direttiva Madia si può dire di aver adottato lo smart working solamente in presenza di una diffusione minima del 10% tra i dipendenti. A questo si aggiunge che 4 pubbliche amministrazioni su 10 non hanno attivato progetti di smart working: tra queste, il 31% è incerto sulla loro adozione e ben il 7% totalmente disinteressato.
Risulta palese, stando ai dati qui citati, di come l’adozione del lavoro agile da parte delle pubbliche amministrazioni sia in gran parte un mero adempito normativo. Tesi supportata anche dal fatto che, ad usufruire di questa modalità di lavoro, sono per lo più donne di rientro dalla maternità o dipendenti con gravi problemi familiari. Ciò che manca, in questo settore, è quindi l’approccio corretto allo smart working; ancora oggi, infatti, sembra essere percepito come ultima spiaggia in caso di impossibilità a recarsi al lavoro senza tener conto di benefici per aziende e dipendenti.
PMI
Nelle piccole e medie imprese lo smart working inizia invece a piacere molto di più. Rispetto al 2018, nel 2019 c’è stato infatti un aumento del 12% di PMI che hanno attivato progetti di lavoro agile strutturato; una crescita del 18%, invece, è stata registrata nell’adozione di attività di smart working informale. Nel 56% dei casi, gli smart worker si occupano di gestione del personale; il 30% e il 31% invece fanno parte rispettivamente della proprietà e della direzione IT. Non mancano, però, dati negativi: rispetto ad un 38% del 2018, nel 2019 si è registrata una percentuale del 51% delle PMI non interessate allo smart working. Le criticità maggiormente riscontrate in queste ultime sono l’applicabilità del lavoro agile nella propria realtà (68%) ma anche la resistenza dei capi (23%).
Grandi imprese
A trainare il mondo dello smart working sono invece le grandi imprese private che, già da anni, hanno adottato la modalità di lavoro agile per i propri dipendenti. Il 49% dei progetti strutturati sono infatti già a regime mentre il 36% è impegnato nell’aprire la possibilità di lavorare da remoto ad un maggior numero di dipendenti. Ma cosa spinge le grandi realtà ad apprezzare il lavoro agile? Il 78% del campione ha avviato e avvierà progetti di smart working per migliorare l’equilibrio tra attività lavorativa e familiare dei propri dipendenti. Ma non solo: per il 59% delle grandi imprese il lavoro agile significa essere più attraente per i talenti del proprio e, per il 46%, anche assicurare un maggiore benessere organizzativo alla propria realtà.
Benefici e criticità dello smart working
Lavorare da casa, dal locale preferito o addirittura mentre si è in vacanza con la famiglia ha sicuramente molti lati positivi. Anche nello smart working, però, non mancano le criticità. A livello tecnico e gestionale, i manager campione hanno evidenziato difficoltà nella gestione delle urgenze, problemi con l’utilizzo delle nuove tecnologie ma anche complessità nella pianificazione delle attività. Per gli smart worker, invece, ciò che rende principalmente critico il lavoro agile è la sensazione di isolamento, seguita dalla difficoltà del seguire con attenzione la propria attività a causa di distrazioni esterne. I problemi di comunicazione virtuale e le barriere tecnologiche, seppur presenti, sembrano rappresentare criticità marginali.
Nonostante alcune difficoltà, molti sono i benefici che derivano dalla modalità di lavoro smart. Il 76% degli smart worker è soddisfatto del proprio lavoro mentre contro il 58% dei lavoratori tradizionali; a dare soddisfazione sono principalmente l’organizzazione del proprio lavoro nonché il rapporto che si riesce ad instaurare con superiori e colleghi. Uno dei risvolti maggiormente positivi per le aziende è il netto miglioramento dell’engagement (il coinvolgimento) dei propri dipendenti che hanno accesso a progetti di smart working ma anche la loro maggior capacità di responsabilizzazione rispetto agli obiettivi ed infine quell’attitudine smart che li rende più flessibili e più capaci di adattarsi alle situazioni.
Coronavirus e smart working: cosa cambia e cosa cambierà in Italia?
Come anticipato, il diffondersi dell’epidemia di Coronavirus ha spinto il governo a rendere più semplice, almeno per qualche mese, la concessione del lavoro agile alle aziende private di tutto lo Stivale. Ma non solo: sino alla fine dell’emergenza sanitaria in corso, il consiglio dei ministri ha stabilito che lo smart working diventi la forma ordinaria di lavoro per la pubblica amministrazione.
Sebbene non sia di certo il segnale di una rivoluzione in atto, questo cambiamento può però rappresentare per molte aziende e per molti dipendenti l’opportunità di toccare con mano il lavoro agile e tutti i benefici che da essi ne derivano.
“In un ecosistema sempre più competitivo chi non sa cambiare è destinato a soccombere. La crisi di un virus che cresce in maniera esponenziale diventa quindi un’opportunità per stimolare la creatività e il cambiamento. Sebbene le preoccupazioni siano grandi, dobbiamo cogliere il lato positivo della situazione: oggi siamo costretti a metterci in gioco, a sperimentare soluzioni nuove. Fare resistenza è controproducente, meglio provare, in un certo senso anche a rischiare, con la consapevolezza che anche gli errori ci aiuteranno a crescere. E fare notevoli passi avanti in termini di innovazione. È inutile girarci intorno, accelerare l’approccio al digitale è l’unico modo per garantire la sopravvivenza di molte aziende. Chi riuscirà a farlo, seppure forzato da agenti esterni, uscirà dalla crisi più forte di prima e pronto ad affrontare e superare nuove sfide”
– scrive Enrico Noseda per Cariplo Factory in un recente comunicato atto a spronare soprattutto le PMI a “ragionare come startup“.
Cosa significa? Significa rischiare di sbagliare e accettare che anche un errore sia parte di una risposta immediata (e magari impulsiva) ad una crisi come quella causata dall’epidemia di Coronavirus. In questo momento, come mai prima d’ora, l’unica risposta possibile da parte delle aziende messe in ginocchio è quella di affidarsi il più possibile alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
Note:
– (1) Con l’accordo interconfederale del 9 giugno 2004 viene accettato da parte di sindacati e associazioni l’accordo quadro-europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002. Firmatari dell’accordo interconfederale sono Confindustria, Confartigianato, Confesercenti, Cna, Confapi, Confserzivi, Abi, Agci, Ania, Apla, Casartigiani, Cia, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confcooperative, Confcommercio, Confinterim, Legacoop, Unci e Cgil, Cisl e Uil.
– Dati e fonti:
I dati numerici qui presenti sono tratti dall’Osservatorio Smart Working del 30 ottobre 2019 della School of Management del Politecnico di Milano
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