Il sabato seguente, nel pomeriggio, Emilio venne da me.
Arrivò a bordo del suo scooter “Zip” della Piaggio, blu metallizzato con la sella grigia.
Non era il modello più cool in commercio, ma avere uno scooter al posto di un “Si” o un “ciao” aveva il suo fascino.
Come prima cosa, seppur imbarazzati l’uno con l’altro perché praticamente sconosciuti, ci forzammo a distenderci e ad accettare di buon grado quella nuova coppia. Armati di entusiasmo cercammo mio fratello Fabio, per farci consigliare il repertorio più adeguato, e farci dare qualche dritta generale, sulla base della propria esperienza.
Insieme a lui, tirammo fuori tutti i libri di musica che avevamo a disposizione, spartiti di ogni genere, e selezionammo brani che sarebbero potuti essere nelle nostre corde, e che fossero stati di interesse per il pubblico.
La matrice portante, non sarebbe potuta essere altro che il liscio.
Chiamatela ignoranza, chiamatela tradizione, chiamatelo semplicismo, insomma chiamatelo come volete, ma il liscio dalle mie parti aveva la sua bella fetta di pubblico. Se calcolate che ogni uomo o donna tra i quaranta e gli ottant’anni e oltre, al suono di un cha cha cha volesse alzarsi dalla sedia e scendere in pista, scoprirete che il target a cui puntare, doveva necessariamente essere quello.
La prima dritta di Fabio, fu dunque proprio questa: studiare sempre la tipologia di pubblico che ci saremmo trovati davanti, e scegliere di brani adeguati.
Nel nostro caso specifico, il Giardino avrebbe avuto per la maggior parte famiglie, di ceto sociale medio-basso, comitive di mezza età, e compleanni di nonni e zii.
I giovani sarebbero stati una minima parte, pertanto non era necessario preoccuparsi della “superclassifica show” del momento.
Scegliemmo una cinquantina di brani. Alcuni titolari, alcuni in panchina e alcuni materasso in caso di emergenza.
Iniziammo così le nostre prove.
Erano tutti brani che entrambi avevamo suonato o ascoltato già in passato, suonabili a prima vista, e molto molto semplici.
Decretammo punta di diamante del nostro repertorio Ciliegi Rosa, collegata sapientemente a Besame Mucho.
Con una combo del genere, avremmo fatto furore.
Ci prendemmo il tempo necessario. Emilio avrebbe iniziato le serate da solo, e io avrei fatto parte della squadra dal primo venerdi di Luglio (lavoro permettendo) o al massimo il primo sabato. Tre settimane abbondanti in cui studiare singolarmente, e in cui incontrarsi almeno tre o quattro volte per provare insieme. Sarebbe bastato.
Io però, lavoravo. Molte, moltissime ore al giorno. E di certo se una sera avessi avuto la fortuna di non rientrare troppo tardi, non avrei dato priorità al sassofono. Studiai perciò essenzialmente a ridosso delle prove con Emilio, qualche ora nel week end.
Erano brani semplici, mi ripetevo, non serviva accanirsi più di tanto.
5 Luglio 1997, Sabato.
Alle 19 mi feci accompagnare da Fabio al Giardino.
Emilio era li da pochi minuti, insieme al papà, e stava approntando la sua postazione.
Cavalletto per la tastiera, leggio, sgabello (da pianista), ai due lati le casse di modesta dimensione, e poco distante un mixer da otto canali.
Alla sua destra lasciò un piccolo spazio. Il mio.
Tirai fuori dalla custodia il sax, lo montai con calma e sistemai l’asta per il microfono a un’altezza tale, che avrebbe potuto riprendere facilmente il suono che sarebbe uscito dal cono.
Fabio e il padre di Emilio, aiutarono ad allestire il set, e si misero di fronte a noi, a una decina di metri di distanza, pronti ad ascoltare la qualità del suono che sarebbe uscita, per verificare se fosse necessario fare delle regolazioni.
“Quale proviamo?” – mi chiese Emilio.
“Ciliegi Rosa” – risposi sicuro. Come test, mi affidai al cavallo di battaglia.
Un, due, tre, quattro. Parapapaaaaaaaaaa, iniziai da solo, e al mio cenno partì l’accompagnamento di Emilio. Come in prova, perfetto!
I due spettatori si avvicinarono, regolarono un pochino il volume generale e il bilanciamento tre me ed Emilio, ma c’eravamo. Eravamo pronti. Bisognava solo attendere l’arrivo di qualche ospite, e avremmo potuto iniziare.
Il titolare del Giardino, ci venne incontro.
Non sapeva che avrei preso parte anche io alla serata, Emilio perciò mi presentò e mi introdusse. Non c’erano accordi per un secondo musicista, entrambi eravamo li innanzitutto per fare gavetta, e io non pretendevo nulla.
Lui, con il suo atteggiamento neutral-disponente, disse solo:
“bene bene, ora mangiate qualcosa”.
Ci fece accomodare a un tavolo tutto per noi e ci fece portare due pizze.
Non lo posso negare, ero compiaciuto. Emozionato, felice, mi sentivo importante.
Il sentimento che vinceva su tutti, comunque, era l’emozione.
Un conto era la banda, dove ci sono altre persone che suonano, ed eventualmente puoi anche permetterti di sbagliare, ma qui era tutto diverso.
Per la prima volta, pochi minuti prima, avevo sentito il suono del mio sax, e solo del mio, uscire fuori a una volume esagerato dalle casse.
Non avrei potuto nascondere né la mia bravura, né la mia incompetenza.
Entrambe le ipotesi, sarebbero state, è il caso di dirlo, amplificate.
Gli ospiti arrivarono. A poco a poco.
Quando la metà circa dei tavoli fu occupata, con un cenno tra me ed Emilio, e un cenno del gestore, ci posizionammo alle nostre postazioni.
Mani tremolanti per entrambi, e un filo di voce per dirci solo:
“Con che iniziamo?" – chiese Emilio.
“Un Walzer” – risposi io.
“Ok”
Un, due, tre, un, due, tre..
E la nostra prima esibizione, ebbe inizio.
Suonammo per due ore abbondanti.
Uno schifo.
Alternammo incomprensioni di brani, a partenze improvvisate, tonalità sbagliate, note steccate, finali chiamati e mai arrivati.
Uno schifo. Due ore abbondanti di schifo.
Inutile sottolineare che nessuno si alzò dal tavolo per scendere in pista.
Non so dirvi se fossimo più imbarazzati noi, nel toppare un brano dopo l’altro, o il pubblico costretto ad ascoltarci.
Quando, all’avvicinarsi della mezzanotte, il cortile del Giardino si era quasi svuotato del tutto, ponemmo fine al nostro supplizio e allo strazio degli incolpevoli ascoltatori.
Spegnemmo tutto, e iniziammo a smontare, senza dire nulla.
Eravamo stati vergognosi, e ci vergognavamo. Due adolescenti, incapaci. Niente di più.
Smontato tutto, in attesa di Fabio e del papà di Emilio che venissero a riprenderci, ci avvicinammo al gestore, che stava chiacchierando ad un tavolo con alcune persone, con la sua camicia bianca pesantemente scollata, le maniche tirate su, e la sigaretta accesa.
Emilio fece per scusarsi, ma non sapeva cosa dire, tanto era l’imbarazzo.
Il gestore non disse niente.
Con la sigaretta fra le labbra, chiuse un pochino l’occhio sinistro a causa del fumo che lo avvolgeva e infastidiva, e portò la mano alla schiena.
Tirò fuori il portafogli, e cercò due banconote da 10.000 Lire. Le prese e le porse ad Emilio.
Poi rivolse il suo sguardo verso di me, e disse soltanto:
“Bravo”
Continuò quindi a frugare nel portafogli, cercò un’ulteriore banconota da 10.000 Lire, e me la diede. Io porsi la mano e accettai automaticamente, come un automa.
A quel punto disse a entrambi:
“Ci vediamo domani” - sorridendo.
Ringraziammo, sommessamente, nulla più.
La prima serata della mia carriera da musicista, eseguita nel peggiore dei modi, fu coronata dal gesto più nobile, nel modo e nel posto e dalla persona più inaspettata che avessi conosciuto fino a quel momento.
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Sarà stata l'emozione a tirarvi uno scherzo mancino, sono sicura che le volte successive sono andate molto meglio. Il gestore del locale è stato un signore, va detto.
C'è chi dice che con l'ansia da prestazione si rende al meglio, bah io con quel tipo di ansia addosso ho fatto solo cavolate!!!
Ciau!
L'ansia da prestazione fa danni, altroché. Altrimenti non si chiamerebbe né ansia né da prestazione.
Uff....sempre così caruccio tu.
realista ;)
Ostico..... anzi ostrico!!!!
sempre a pensare al cibo @g-e-m-i-n-i !!!!!!!
😋🤭
Errare è umano ma secondo me non dovete essere andati proprio così male 😉
Fidati... 🤢