Ciao Amico!
Oggi mi va di parlare della sofferenza, ma sulla falsariga di ieri voglio affrontare l'argomento guardando il tutto da un punto di vista differente.
Nella vita soprattutto, ma ad esempio anche nello sport è necessario imparare ad accettare disagi e sofferenze, credo sia l'unico modo per risolverli o quantomeno per farsi una ragione di ciò che accade senza disperdere tempo ed energie.
Vorrei iniziare con la definizione di "trappola cognitiva": è una distorsione sistematica della realtà che porta a comportamenti inefficaci.
Molte di queste trappole cognitive hanno origine nella storia individuale di ogni singolo ma, molte altre, hanno invece radici culturali; una delle più diffuse nella nostra società è l'idea che sia possibile e doveroso sfuggire ad ogni forma di disagio, anche minima.
Pensiamo ad esempio a tutti i piccoli inconvenienti quotidiani come fastidi, dolorini o un semplice mal di testa; essi non sono più considerati come inevitabili contrattempi che ci accompagnano fin dall'alba dei tempi ma come emergenze di cui è necessario sbarazzarsi immediatamente.
E qui vediamo il fiorire di migliaia di prodotti farmaceutici il cui potere commerciale non è insito nella possibilità terapeutica ma dal fatto di fungere da "pronto soccorso emotivo"; quando dico questo mi riferisco al fatto che sanno rendere tacito il senso di angoscia che è prodotto dal fastidio.
I messaggi pubblicitari su tutti i mass media fanno la loro parte ribadendo continuamente la convinzione che una storta o un semplice mal di schiena rappresentino ostacoli sul cammino verso la felicità della nostra specie; felicità che è però fortunatamente riacquistabile a patto di utilizzare i prodotti reclamizzati.
Ovviamente la lotta contro ogni tipo di disagio non si ferma ai fastidi fisici o pseudo tali, di lì il passo alle emozioni e gli stati d'animo "negativi" è breve.
Oggigiorno è mentalità diffusa che sia possibile cambiare in modo istantaneo gli stati d'animo come si cambia un canale alla televisione, se questi contengono esperienze non gradevoli.
Questo che io chiamerei "zapping emotivo" ci deruba dell'aspetto positivo che, paradossalmente le emozioni negative hanno; senso di frustrazione, paura o tristezza sono dette a torto "emozioni negative" io le chiamerei piuttosto "spiacevoli" semplicemente perché, al quaglio, hanno utilità pari a quelle che chiamiamo "positive": Esse sono segnali importanti.
Ci avvertono, ognuna in modo diverso, che qualcosa non va.
Ci forniscono la motivazione e, a volte, anche la spinta fisica a muoverci per toglierci da situazioni indesiderate, o per trovare soluzioni ad esse.
A questo punto probabilmente va da se che le emozioni, frettolosamente definite negative, non vanno evitate o sostituite con altre "più positive": vanno ascoltate!
Il continuo tapparci le orecchie le renderà una modalità di segnale che si riproporrà nel tempo in maniera cronica.
Saper entrare in relazione con la sofferenza al giorno d'oggi è un comportamento in via d'estinzione nella nostra cultura ma, se ci pensi, nel mondo sportivo ad esempio sarebbe fondamentale.
Esiste un evidente conflitto tra la ricerca della performance e il proteggersi da ogni irrisorio disagio.
Il dolore atletico è una compagnia costante per chi ricerca la prestazione; non tragga in inganno la voce "dolore atletico" non è una nuova categoria di sensazioni, l'aggettivo fa semplicemente riferimento alle cause che lo producono, ovvero la pratica sportiva.
E' strano come la trappola cognitiva rappresentata dall'illusione di poter sfuggire da ogni disagio, invece di lavorare per accettarlo, attanaglia tutto perfino la psicologia dello sport.
Un grande numero delle tecniche più popolari del settore nasce proprio sotto il segno di questa illusione: allenarsi a visualizzare se stessi mentre si taglia il traguardo freschi profumati e sorridenti può essere rischioso se ci fa dimenticare che molto probabilmente non arriveremo per nulla freschi profumati e sorridenti; tale dimenticanza avrà un prezzo alquanto salato, che si rischia di dover pagare senza sconti nel bel mezzo della gara.
Tutte le tecniche finalizzate a sopprimere gli stati interni negativi sono illusorie allo stesso modo se pretendono di difenderci dal contatto con la sofferenza; non solo non la tengono lontana ma, nel momento in cui entriamo in contatto con essa, ci rendono ancora più vulnerabili.
Ora ti starai chiedendo: <<Ma allora qual è l'approccio giusto?>>.
E' mia convinzione personale che l'essere resilienti non voglia dire non sperimentare sofferenze e difficoltà e anzi, proprio il fatto di credere questo, rappresenta una trappola cognitiva che rende più deboli.
Quando la sofferenza giunge molti cadono nell'inganno del "non è giusto!" perché in modo inconsapevole coltivano l'aspettativa che "ciò non deve capitare" o che l'universo funzioni in modo intrinsecamente equo.
Pensieri come quelli sopra citati sono, in modo evidente, degli auto-sabotatori: aspettative destinate ad essere continuamente deluse dai fatti e quindi generatrici di frustrazioni; ciò vale anche per lo sportivo che parte con l'aspettativa che questa volta la sofferenza sarà minore, magari solo perché si è allenato un pò di più.
Nel caso sopra citato, quel genere di approccio comporta che alla sofferenza causata dagli eventi reali si sommi quella derivante dalla non accettazione della situazione e, a volte, questa sofferenza aggiuntiva diventa altrettanto dolorosa di quella originale.
Una delle caratteristiche delle persone resilienti invece è quella di vedere il disagio come parte del gioco: la fatica, o la sofferenza, un infortunio, una sconfitta o delusione non sono certamente attraenti ma li accetto comunque poiché la non accettazione sarebbe peggio (questo concetto andrebbe ben fissato nelle menti di tutti!).
Se pensiamo alla parola "accettazione" nella nostra cultura, vediamo che ha spesse volte una connotazione negativa poiché viene associata a cedimento, debolezza e rassegnazione.
Sempre a mio modesto parere "accettare" vuol dire evitare il vittimismo e le sofferenze aggiuntive che comporta.
"Accettare" non significa che la situazione piaccia ma, semplicemente, l'aver compreso che infuriarsi, maledire il genere umano e minacciare l'universo intero non cambia la situazione e comporta uno spreco di energie aggiuntivo, mentre invece, è fondamentale conservare tutte le energie possibili per rimboccarsi le maniche e mettersi a risolvere le varie situazioni.
Bene sono giunto al termine; molte delle cose scritte in questo post sono ovviamente mie pensieri che ho sviluppato leggendo un pò qua e un pò là e, soprattutto, con l'esperienza; se ti va lascia un commento e fammi sapere come la pensi!
Grazie mille per esser passato di qua, ci si legge presto!
Hello Friend!
Today I want to talk about suffering, but along the lines of yesterday I want to address the topic looking at everything from a different point of view.
In the vines above all, but for example also in sport it is necessary to learn to accept hardships and sufferings, I think it is the only way to solve them or at least to make us a reason for what happens without wasting time and energy.
I want to start with the definition of "cognitive trap": it is a systematic distortion of reality that leads to ineffective behavior.
Many of these cognitive traps originate in the individual history of each individual, but many others have cultural roots; one of the most widespread in our society is the idea that it is possible and necessary to escape any form of discomfort, even the least.
For example, let's think of all the small daily inconveniences like annoyances, doloros or a simple headache; they are no longer considered as inevitable setbacks that have accompanied us since the dawn of time but as emergencies which must be immediately eliminated.
And here we see the flourishing of thousands of pharmaceutical products whose commercial power is not inherent in the therapeutic possibility but from the fact of acting as "emotional first aid"; when I say this, I am referring to the fact that they know how to make the sense of anguish that is produced by the annoyance silent.
Advertising messages on all mass media play their part by constantly reaffirming the belief that a crooked or a simple backache represents obstacles on the path to the happiness of our species; happiness that is fortunately redeemable as long as you use the advertised products.
Obviously the struggle not against any kind of discomfort does not stop at the physical or pseudo annoyances, from there the pace to the emotions and "negative" moods is short.
Nowadays it is widespread mentality that it is possible to instantly change moods as you change a channel on television, if they contain unpleasant experiences.
What I would call "emotional zapping" robs us of the positive aspect that, paradoxically, negative emotions have; sense of frustration, fear or sadness are wrongly pronounced "negative emotions" I would rather call them "unpleasant" simply because, to the quaglio, they have utility equal to what we call "positive" : they are important signals.
They warn us, each in a different way, that something is wrong.
They provide us with the motivation and sometimes even the physical drive to move us to remove ourselves from unwanted situations, or to find solutions to them.
At this point probably goes without saying that the emotions, hastily defined negative, should not be avoided or replaced with high "more positive": they must be listened to!
Continuously plugging our ears will make them a signal mode that will be repeated over time in a chronic way.
Knowing how to enter into a relationship with suffering today is an endangered behavior in our culture but, if you think about it, in the sports world for example it would be fundamental.
There is a clear conflict between the pursuit of performance and the protection against all derisory discomfort.
Athletic pain is a constant company for those seeking performance; does not mislead the word "athletic pain" is not a new category of sensations, the adjective simply refers to the causes that produce it, or the sporting practice.
It is strange how the cognitive trap represented by the illusion of being able to escape from all discomfort, instead of working to accept it, grips even the psychology of sport.
A great number of the most popular techniques of the sector is born under the sign of this illusion: to train yourself to visualize yourself while crossing the finish line fresh smelling and smiling can be risky if we forget that most probably we will not arrive at all fresh smelling and smiling ; such forgetfulness will have a rather salty price, which risks having to pay without discounts in the middle of the race.
All techniques designed to suppress negative internal states are illusory in the same way if they claim to defend ourselves from contact with suffering; not only do they keep it away from us, the moment we get in touch with it, they make us even more vulnerable.
Now you're wondering: << But then what is the right approach? >>.
It is my personal belief that being resilient does not mean not to experience suffering and difficulties and indeed, the fact of believing this represents a cognitive trap that makes us weaker.
When the suffering comes many fall into the deception of "it is not right!" because in an unconscious way they cultivate the expectation that "this does not have to happen" or that the universe functions intrinsically fair.
Thoughts like those mentioned above are, obviously, self-saboteurs: expectations destined to be continually disappointed by the facts and therefore generating frustrations; this is also true for the sportsman who starts with the expectation that this time the suffering will be less, maybe just because he trained a little more.
In the case cited above, that kind of approach implies that the suffering caused by real events is added to that deriving from the non-acceptance of the situation and, sometimes, this additional suffering becomes just as painful as the original.
One of the characteristics of resilient people instead is to see the discomfort as part of the game: fatigue, or suffering, an injury, a defeat or disappointment are certainly not attractive but I accept them anyway because the non-acceptance would be worse (this concept should well fixed in the minds of all!).
If we think of the word "acceptance" in our culture, we see that it often has a negative connotation because it is associated with failure, weakness and resignation.
Always in my humble opinion ** "accept" ** means avoiding the victimization and the additional suffering it entails.
"Accept" does not mean that the situation pleases, but simply understand that raging, cursing mankind and threatening the whole universe does not change the situation and entails an additional waste of energy, while instead, it is It is essential to conserve all possible energies to roll up our sleeves and get to solve the various situations.
Well I have come to an end; many of the things written in this post are obviously my thoughts that I developed reading a little here and a bit there and above all with the experience; if you like, leave a comment and let me know how you think!
Thank you very much for being here, you read soon!
.....Del mio meglio! Pikkio82
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Di seguito i link di ogni immagine nell'ordine in cui compaiono nel post:
https://pixabay.com/it/cuore-amore-fuoco-bruciare-dolore-471785/
https://pixabay.com/it/sport-sprinter-corridore-uomo-2943144/
https://pixabay.com/it/abbandonato-perso-da-solo-respinto-1273885/
Molto interessante
Grazie mille!!!
Molto buono pikkio! Interessante il concetto di accettazione e la sua "bright side". Complimenti
Grazie Mille! Felice che sia piaciuto e che magari abbia stimolato qualche riflessione. Per come la vedo io ogni medaglia ha due facce e bisogna sempre prenderle in considerazione entrambe nel bene e nel male ovviamente. Ancora grazie, ci si legge presto!!!
Interessante come sempre!
Sia nel post di oggi che in quello sulla paura che hai scritto magistralmente, c'è un sottile filo rosso che collega le due esperienze umane: la capacità o l'incapacità di accettarle.
Il commento che ti lascio è il seguente:
lascia l'ascia e accetta l'accetta!
Grazie per il post, sempre piacevole e interessante!
Grazie mille a te per i complimenti ed il sostegno! Beh si, sai credo che l'accettazione rappresenta qualcosa di positivo che può portare ad elevarsi; e d'altronde se uno approfondisce un pò le varie tematiche sulla crescita personale, legge un pò di psicologia qua e là ci si rende conto come probabilmente rappresenti una delle basi su cui costruire il proprio castello di serenità e felicità. Ovviamente è un mio modo di vedere e di vivere non sono certo un guru, però devo ammettere che tante volte fatto il passo dell'accettazione mi sono ritrovato a progredire nelle esperienze sfruttando meglio le mie energie e trovando soluzioni a quei problemi che sembravano impossibili da risolvere solo perchè sprecavo le energie a lagnarmi e frignare. Grazie mille ancora, ci si legge presto!!! Stasera voglio parlare di lentezza! :-)
Non bisogna essere un guru per raccontare le proprie esperienze positive di "guarigione"! Aspetto il post sulla lentezza, crogiolandomi come un bradipo su un albero :) Spero sia un bell'elogio della lentezza, ci vuole di questi tempi in cui si corre sempre! Grazie sempre
Ecco un altro splendido post!
Grazie mille!!! Sempre gentilissimo! Mi piaceva molto l'argomento, ho letto un pò di cose oggi che mi han dato spunto :-)
Gran bel post, trascrivere uno stato d’animo non è facile! Ho sofferto mentre lo leggevo! Bellissimo post!
Grazie mille per i complimenti! Non era mia intenzione suscitare sofferenza, però spero possa servire da stimolo ad approfondire il discorso dell'accettazione :-) Grazie mille per esser passato di qua, ci si legge presto!
Intenso e stimolante, bravo. Se per caso non l'avessi già fatto, goditi il meraviglioso Inside Out della Disney-Pixar, che ha un messaggio assai simile al tuo.
Grazie mille, sei gentilissima! Ti confesso che ancora non l'ho visto e che è un pò che mi riprometto di farlo, nei prossimi giorni rimedierò! Grazie per esser passata di qua, mi fa sempre un piacere immenso!
Condivido totalmente, purtroppo viviamo in una cultura che non sa più relazionarsi con il dolore e più in generale con gli stati interiori psichici; e nell'aspirazione ad essere perfetti si finisce per negarli avendo però come risultato di rendere questi stati ancora più forti e quindi dannosi per l'individuo.
Ciao, grazie mille per esser passato di qua, mi fa molto piacere! Sai io credo che l'accettazione, vista nell'accezione positiva che descrivo nel post, sia fondamentale e serva per riuscire a fare quel salto di qualità che porta ad una crescita personale a tuttotondo. Inoltre penso anche che ogni stato sia collegato in maniera indissolubile con il suo contrario e se stessimo sempre bene, ad un certo punto, non riusciremmo nemmeno a riconoscere semplicemente il concetto di bene :-)
Molto interessante.
La società moderna corre e non ci si può fermare a contemplare il dolore, accettarlo e conviverci.
Meglio una pasticca, che ti rimette in carreggiata.. per fare cosa poi? Provocarti altro stress, dolore.. perchè spesso i farmaci non curano il la causa del dolore ma riducono la percezione dello stesso.
Mi sono concentrato solo su una parte del tuo post, perchè è quella che più mi ha fatto riflettere.
Ciao miti! grazie mille per esser passato di qua e per aver condiviso il tuo pensiero! Quella parte è per me molto importante e la penso come te, i farmaci spesso sono un vero e proprio palliativo; in passato mi sono reso conto che il mal di testa mi andava via semplicemente meditando un pò, non perchè sia curativa ma perché, a mio modo di vedere, il dolore come lo stress come tutto nella vità è gestibile e controllabile....qualcuno diceva domina la tua mente e dominerai l'universo e credo che sia vero, a patto che per dominare la mente non ci si debba impasticcare per ridursi come zombie.
Già... in un commento a un altro post parlavo di come in passato io abbia sofferto di stress con le relative conseguenze e ne sia uscito lavorando sulla radice dello stress e non impasticcandomi.
E per questo hai tutta la mia stima! Io sono convinto che pasticche e pasticchine magari non si possono eliminare del tutto in alcune circostante ma comunque possono essere ridotte davvero al minimo indispensabile ed essere assunte solo in gravi situazioni. Inoltre credo che la soglia di sopportazione dello stress possa esser via via alzata e secondo me a livello lavorativo e non solo può essere una qualità importante, se io dovessi scegliere un collaboratore sicuramente opterei perla persona che sotto alti livelli di stress riesce ad avere il controllo di se stesso ed a prendere lucide decisioni. Grazie grazie per i commenti e per aver portato la tua esperienza! Adoro chiacchierare ed interagire mi da sempre uno spunto in più.