La parola "sensibile" è vaga come stelle dell'Orsa.
Francesca Mambro, protagonista dell'eversione nera degli anni '70,
si è presa qualche ergastolo per omicidi organizzati, realizzati, rivendicati, confessati, ma si è proclamata innocente rispetto alla strage di Bologna.
Francesca Mambro era allora come oggi la donna di Giusva Fioravanti, un tizio colpevole di decine di delitti a sfondo labilmente politico.
Delitti diventati famosi per la ferocia e la facilità con cui vennero commessi, spesso a danno di gente che nulla aveva a che fare con le sue cause, e a volte dettati dalla follia piuttosto che da un qualche credo neofascista.
Un ragazzo la cui gioventù venne violentata da troppa televisione.
Giusva era uno pronto per la Uno Bianca prima della Uno Bianca.
Qualche anno fa un giudice chiese a Francesca perchè lo scelse come compagno di vita.
A questa domanda rispose con una frase da ginnasio nichilista,
lapidaria, nel senso di lapide:
"Giusva era il ragazzo più sensibile che avessi mai incontrato".
Che razza di tipacci fossero gli altri ragazzi che aveva frequentato
non ci è dato sapere.
Di sicuro Francesca con gli uomini non è stata fortunata,
e la parola "sensibile" resta dubbia e ambivalente come il coinvolgimento dei NAR per i fatti del 2 agosto 1980.
Francesca Mambro è citata nei ringraziamenti di un disco intitolato:
"Abbiamo pazientato 40 anni, ora basta!" (*)
Sensibili anche loro.
Per evitare di confondere la sensibilità con l'eversione fascista e stragista, stabiliremo dei limiti.
Definiamo quindi neosensibilismo il nostro modo di essere sensibili.
E tutto si distacca dalle ambiguità di Francesca Mambro
da cui ci dissociamo anche per l'uso sconsiderato e irresponsabile del vocabolario.
La signora Mambro e il camerata Fioravanti sono fuori di galera.
Fa male ammettere che al momento vincono due a zero...
Venti minuti
Mio padre è morto dopo 54 anni complicati
e un nome difficile da portare come un sorriso mai segnato da dubbi
non andavamo d'accordo
invecchiando trovo in me particolari di lui, alla mia età di adesso:
qualche segno delle mani, un'espressione allo specchio, un tono di voce
questa cosa non mi piace per niente
da quando se ne è andato ho un'eredità natalizia:
aveva un amico, un milanese conosciuto al servizio militare in Friuli
nei loro vent'anni
era l'inizio degli anni '60 e devono essere stati momenti di grande condivisione
e scoperta del mondo.
Questo tizio io l'ho visto solo due volte, da bambino
gente che aveva più borghesia e più boria di noi
L'ho reincontrato, quell'amico lontano, solo davanti al letto di mio padre morente.
Da allora quell'uomo ha deciso
che io sono mio padre
Ogni anno, la vigilia di Natale, chiama,
parla con me, venti minuti, di cose che non so
e di un periodo in cui non ero ancora nato.
Ha il tono cameratesco che usava con lui
e si sbaglia perfino a chiamarmi per nome.
Mi dice "ti ricordi quello li? quella là?"
esattamente come fossi lui.
Non ho mai condiviso le scelte di mio padre
l'ho odiato cordialmente.
Da sempre.
Ora che non c'è più, sono sereno.
Ho risolto le cose che avevo in sospeso.
Ma ogni anno sento una voce che parla di lui come una persona meravigliosa
e ne parla come non ne ho mai sentito parlare.
Non lo riconosco in quelle storie di amicizia
durata oltre la naturale scadenza.
Resto in silenzio davanti alla devozione di un signore che mi è estraneo.
Che chiama ogni tanto, da molto lontano.
E per pochissimo tempo.
E' una devozione che non è nemmeno paragonabile alla mia.
Che è quasi assente.
Venti minuti.
Non uno di più.
Anche stamattina.
Parla. Racconta. Quasi piange.
Si congeda e mi chiama col suo nome.
Poi si corregge. Mette giù.
Non era con me che voleva parlare.
Non era di me che aveva bisogno.
Mio padre, per tanto tempo,
mi ha telefonato solo una volta all'anno.
La vigilia di Natale.
Era l'unico gesto che si sentiva di fare nei miei riguardi,
vista l'evidente ostilità che gli riservavo.
Quella telefonata, fatta da nove chilometri,
freddi e distanti quanto lo stretto di Bering,
gli costava molto.
Ma non se la negava mai.
Un punto d'onore.
"Ciao figlio, tuo padre sta bene.
Fatti sentire ogni tanto.
Come sta tua madre?
Valla a trovare.
Almeno lei.
Ciao figlio, buon Natale"
Per uno come Metuccio, doveva essere uno sforzo grandissimo.
Ultraterreno.
Talmente grande che ancora non si è esaurito del tutto.
Respinti all'uscio
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