(Foto dell'autore)
In questo gioco che è la vita
la tua famiglia è il campo
e la palla il tuo cuore.
Non importa quanto tu sia bravo
nè quanto a volte tu sia giù,
il tuo cuore
lascialo sempre lì,
sopra a quel campo
(Anonimo)
Apro gli occhi e penso che è il giorno della partita. Quello è il pensiero più importante della giornata, a prescindere che lo si faccia per mestiere o solo per passione, che si giochi in A o in un semplice campionato amatoriale di provincia. Il mio è caso è quest'ultimo: appartengo alla seconda categoria, senza aver avuto dal momento in cui ho iniziato, alla tenera età di sette anni, la minima realistica chance per la prima. Serve il talento e qui non è di casa. Quello che c'è il cuore, perchè la tensione e l'ansia rimane la stessa per ogni categoria, e c'è sempre a prescindere dal fatto che sia la tua millesima partita o la quarta.
Lo spettatore
(Foto dell'autore)
C'è un universo di esseri umani capaci o nella Foresta del Borneo o in via Panisperna di stare alzati nella notte a seguire su internet il play by play di una gara 3 immaginandola. Le squadre mettetele voi. E "The Game" che li tiene svegli. (Federico Buffa)
I ricordi sono offuscati: 1996, finali scudetto; 1997, Italia-Jugoslavia; 1998, Michael Jordan contro i Jazz, "The Shot" per chiudere la seconda parte della carriera di MJ.
C'è un momento in cui ho iniziato a seguire e non è finita più. Quello con Jordan è il più identificabile, perchè mitologico. Nello stesso anno c'è il tiro da quattro di Danilovic in Italia. Poi c'è l'Europeo 1999 vinto alla nostra nazionale, con la finale contro la Spagna in differita e la guerra per non farsela spoilerare. Ci sono le volte in cui, non avendo Tele+, o lo scroccavi o facevi stalking dalla tv del vicino (sì, è capitato, chiedo scusa). C'è l'arrivo di Sky e il consumo intensivo di NBA, seguita anche col play-by-play dal PC quando la TV non c'arrivava. Con due partite scolpite nel cuore: Gara 6 di Cavaliers-Pistons, Eastern Conference Finals, e poi Cavaliers-Warriors del 2016, col tiro vincente di Kyrie Irving. L'esultanza alle 6 del mattino, stando attento a non svegliare i miei che stavano lì vicino. Saltellare di gioia in una camera all'alba facendo silenzio è davvero difficile.
Ci sono poi le partite del vivo: il basket mi ha spinto a Londra, Torino, Roma, Milano e tante altre città. Nazionale, NBA, campionato italiano, Minors. L'emozione, l'impressione nel vedere talento e atletismo, grandi giocatori, l'emozione della bolgia di pubblico. Uno stupore "turistico" che non cambia mai, di partita in partita.
Il giocatore
(Foto dell'autore)
Ho giocato nonostante il sudore e il dolore non per vincere una sfida ma perché TU mi avevi chiamato. Ho fatto tutto per TE, perché è quello che fai quando qualcuno ti fa sentire vivo come tu mi hai fatto sentire. (Kobe Bryant)
La notte scorsa ho seguito la solita routine pre-partita. L'età per fare serata ci sarebbe ancora, manca la voglia, ci sarebbe anche da lavorare il giorno dopo: casa, film e riposo. Una novità, non troppo ben accolta rispetto al solito: il ghiaccio sul tendine. Quella di oggi sarà la terza partita in pochi giorni e serve, perchè è peggiorato: è infiammato, faccio fatica a sollevarlo, i muscoli della gamba sinistra sono affaticati dallo sforzo. Da due anni convivo col problema, stavolta siamo a un punto di non-ritorno, fa tanto male. Operarlo? Forse. Resistere? Ci si prova.
Forse sente un po' il chilometraggio: gioco da vent'anni, non tanto, ma nelle ultime stagioni di più. Sono passato dal giocare più interno a fare il playmaker, il "regista", a muovermi di più. L'ho fatto perchè la squadra ne aveva bisogno: perchè, quando c'è stato bisogno, ho fatto ogni ruolo chiesto.
Il primo ricordo del basket giocato è una palestra vicino casa, a sette anni: mi hanno portato lì perchè mia sorella giocava, e io guardavo le partite. Prendo la palla e comincio a imitare i "grandi", la cosa che faccio di più è palleggiare mentre chiamo con le dita schemi inesistenti: dite che è un segnale che dovevo fare il play? Forse l'ho capito in ritardo.
Odiavo fare quel ruolo, troppa responsabilità a gestire la pressione avversaria, io che sono corpulento, non un fulmine di guerra. Gioco guardia, in una squadra forte. Gioco poco, anche da piccolo.
Le giovanili le passo così, mi diverto, gioco, poi non gioco e qualche volta piango perchè non sono abbastanza bravo: ma rimango a giocare. La passione mi dà equilibrio. A tredici anni sto fermo per la sindrome di Osgood-Schlatter, un rigonfiamento al ginocchio dovuto alla crescita. Sono tanti mesi di stop, un periodo orribile. Comincio a pensare che l'adolescenza e la mia serenità sia scandita dallo sport, e non mi sbaglio.
La passione però, quando sono in campo, viene ripagata: vinciamo. Campionati provinciali, spareggi regionali. Giochiamo e siamo un gruppo: il concetto di gruppo, in uno sport come il basket, nasce lì. In una squadra ti conosci, vivi insieme, cresci con le stesse persone, esci da amici: il panino/pizza post-partita è un rituale da cui si deve passare.
Finite le giovanili passo ai senior: è un mondo diverso, non giochi per età, devi guadagnarti ogni minuto e il rispetto. Gioco a Palermo, non trovo spazio, pur di giocare vado a Partinico, 40 minuti di auto per andare e tornare. Si deve fare, lo voglio fare. Per studio mi trasferisco a Roma e anche lì cerco delle squadre, tre anni di aneddoti spettacolari e storie fantastiche, da quella volta che andammo in trasferta in cinque ad Anguillara e giocai con 40 di febbre, a quando le suore che gestivano il nostro campo di casa c'hanno lasciato fuori per non farci giocare.
Da qualche anno sono tornato a Palermo, giocando a Cinisi (20 minuti d'auto), poi a Carini (15): vado ad accorciare di anno in anno. Cambiano compagni, contesti, luoghi ma "The Game" è sempre lì.
Il lavoratore
(Foto dell'autore)
“Non chiederti cosa i tuoi compagni di squadra possono fare per te. Chiediti cosa tu puoi fare per i tuoi compagni di squadra.” (Magic Johnson)
Un giorno, molto presto, mi sono reso conto di non poter esser utile per professione, in questo campo. Allora ho deciso di continuare da amatore, ma nel frattempo di lavorarci in altri modi: comunicazione, statistiche, scouting (osservazione di avversari e giocatori). Oggi la giornata passa tra un comunicato su una partita, la preparazione di materiale per gli sponsor l'analisi di statistiche o di alcuni video. La sensazione di vedere qualcosa e sapere che non potrai influire direttamente è sempre brutta: ma al tempo stesso la sensazione di contribuire al successo di un gruppo rimanere. A ogni modo ci si sente parte di qualcosa, ci si sente quasi compagni di chi va in campo. In definitiva sono loro da cui dipende il tuo lavoro, ma non c'è cosa più bella di aiutarli, conoscerli, sostenerli, incensarli quando fanno bene. Sei in una squadra, e in un team tutti, da chi porta borracce a chi allena a chi gioca, hanno un ruolo. Perchè una squadra solida è quella che unire tanti piccoli vissuti in un gruppo che vuole ottenere il massimo, a ogni livello.
Mancano due ore alla partita, l'appuntamento è tra un'ora. Faccio la borsa (immancabilmente riciclata da altre squadre): maglia, pantaloncini, il necessario per doccia e cambio. Metto dentro le scarpe, sarà il centordicesimo paio da quando gioco. Ascolto la musica, la playlist prepartita è sempre la solita. Chiudo la zip della borsa mentre guardo il mio numero 17. Non sono mai stato scaramantico. Oggi è una partita importante, nell'ultima abbiamo perso male e per un po' veniva veramente difficile parlare con la gente, tanta era l'inca...volatura. Chiudo gli occhi, le gambe sono a posto, comincia a circolare l'adrenalina. GAME ON.
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Bei ricordi. Bella storia...